Sotto la lente - Fu vera gloria?

22.05.2015 01:30 di  Carmen Vanetti  Twitter:    vedi letture
Sotto la lente - Fu vera gloria?
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© foto di Stefano Porta/PhotoViews

Calciopoli è stata una vetrina: una vetrina che ha messo in mostra le peggiori brutture, lo squallore in cui versa la giustizia italiota, sia sportiva che ordinaria.

Poi però qualcuno ha pulito un po’ il vetro e la verità, pur  negata e rinnegata, si è palesata.

Calciopoli è stata usata anche come trampolino: in tanti se ne son serviti per raggiungere scopi che altrimenti sarebbero rimasti fuori portata.
Ma anche qui alla fine il tempo è stato galantuomo e, uno dopo l’altro, i frutti di Calciopoli stanno cadendo a terra, irrimediabilmente guasti.

Cominciamo da chi ha guidato, almeno sotto i riflettori, il tram: il pm Narducci e il maggiore, poi tenente colonnello, Attilio Auricchio: entrambi nell’aula 216 del tribunale di Napoli non avevano fatto una  gran figura, nessuno dimenticherà mai il “piaccia o non piaccia” del primo  e le contraddizioni e le incongruenze in cui è caduto il secondo nei serrati controinterrogatori delle difese;  ad entrambi l’inchiesta-groviera aveva aperto la via della politica, nella giunta di De Magistris al comune di Napoli, il primo come assessore, il secondo come capo di gabinetto, direttore generale e capo dei vigili. Una volta fallita la via della politica per contrasti col Sindaco, Narducci è tornato mestamente in Magistratura, ma con come pm a Napoli o a Salerno come avrebbe desiderato, bensì come giudice a Perugia; Attilio Auricchio al Comune di Napoli c’è rimasto (puntava addirittura alla poltrona di vicesindaco ma l’arma dei cc cui tuttora appartiene ha detto di no); ma è inciampato nella storiaccia degli affari legati all’America’s Cup con le accuse di turbativa d’asta e abuso d’ufficio.

Questo dal lato dei carnefici.

Ora vediamo il destino di alcune sedicenti vittime.

Una è finita sulle prime pagine solo qualche settimana fa: l’uomo dal pigiama bianconero, Zdenek Zeman, il miglior (a suo dire) allenatore dell’orbe terracqueo, la cui carriera giurava essere stata rovinata da Luciano Moggi; in realtà non ci aveva creduto nessuno quando aveva raccontato la sua cantilena alla dott.Casoria, la sequela di insuccessi parlava per lui (se a un buongustaio come l’Avvocato non piaceva il suo modo di allenare un motivo ci sarà pur stato):  e il trend è continuato, implacabile, con insuccessi ed esoneri, con sempre nuovi record, tipo l’ultimo, a base di esonero e dimissioni nella stessa stagione. Una vera impresa da Maestro.

L’elenco può continuare con l’onestissimo Presidente, quello che ‘eh no, su Moratti non si può’, non si può mandarlo in B per una questioncina di passaporti falsi, lui che aveva speso centinaia di milioni; in realtà di magagne, ce n’erano tante altre, ma non si doveva dire; ‘l’Inter non interessa’, ‘Piaccia o non piaccia, non ci sono telefonate del signor Moratti con i designatori’; c’erano, le telefonate, e anche i regalini, c’era la misteriosa visita alla dott. ssa Boccassini; c’erano, soprattutto, pedinamenti e intercettazioni; spesso al riparo di un “qualcuno si offrì di farlo”. Ora qualcuno, dalla lontana Indonesia, si è offerto di liberarlo da un’Inter onusta più di debiti che di gloria; in realtà solo gli aficionados della seconda squadra di Milano possono gloriarsi di uno scudetto di cartone, mai vinto e regalato loro da un loro tifoso (anzi, di più, un loro ex CdA) e di un triplete costruito sulle rovine delle vergogne di Calciopoli. Ora  l’Inter, praticamente data in pegno alle banche,  annaspa nel tentativo di acchiappare almeno un posto nell’Europa League, mentre l’Uefa la tiene nel mirino per il FPF e tecnico e tifosi vagheggiano sogni di scudetto, i soliti scudetti agostani.  

E poi Cellino, uno dei quattro testimoni citati come testi-chiave dalle motivazioni del secondo grado: lo spessore del personaggio si era già palesato appieno nel dibattimento di Napoli; trascinato nell’aula 216 da una minaccia di accompagnamento coatto (dopo tre convocazioni disattese) si era perso in una fumosa serie di sensazioni, di sentito dire, di “magari ho parlato a sproposito”, con un atteggiamento che aveva indotto donna Teresa Casoria ad appiccicargli l’etichetta di esuberante e indisciplinato. Etichette peggiori avrebbe avuto nel post-Calciopoli quando il pasticcio dello stadio (in stile Lego) lo avrebbe condotto addirittura in carcere. Allora aveva lasciato l’isola, per un’altra isola, dove però le regole sono molto meno labili che nell’ex BelPaese e dove, quando al secondo tentativo (nel primo col West Ham l’affare era sfumato sul filo di lana) era riuscito ad acquisire la maggioranza del Leeds, le sue pendenze erano state messe sotto il microscopio e solo dopo un lungo periodo nel limbo ha potuto prendere possesso dell’agognato club, che ha concluso al 15° posto della Championship, la serie B inglese: peraltro anche oltremanica Cellino ha tenuto fede alla sua fama di mangia-allenatori (5 nell’ultimo anno). E il Cagliari, ora nelle mani di Giulini, scuola Inter, col vice Filucchi, responsabile delle relazioni esterne e della sicurezza Inter dal 2003, gli anni caldi dell’intelligence, con il significativo aiuto di Zeman è intanto mestamente retrocesso in serie B.

Poi ci sarebbe anche il ribaltatore Baldini, che nel post-Calciopoli, dopo una parentesi al seguito di Capello nell’avventura al Real e poi alla Nazionale inglese, ha tentato il ritorno in quella Roma dove nel 2001 era riuscito, come direttore sportivo, a strappare lo scudetto alla Juve: eppure si era, a suo dire, sotto il sistema Moggi, così potente che il club giallorosso poté usufruire del cambiamento di regole in corsa sul numero degli extracomunitari (salvandosi altresì da possibili penalizzazioni); stavolta, nel nuovo calcio pulito gli va male, un settimo e un sesto posto (malgrado, oppure complice, l’aiuto del Maestro Zeman), e allora emigra anche lui oltremanica, al Tottenham, non schiodandosi nemmeno lì dal sesto posto.

Poi ci sono i media, capeggiati dalla rosea gazzetta: non tutti gli orientatori sono ancora sulla breccia, ma hanno comunque trovato epigoni “all’altezza”, degni di cotanta mission. Il quartier generale rosa ha trasferito scatoloni e cartoni in periferia, in quel di Crescenzago, ma l’animus farsopolaro non si è perso.

E Luciano Moggi, l’uomo nero del 2006? Volevano toglierlo di mezzo, per sempre, ma lui è sempre lì, sulla barricata, perché il calcio non può non essere il suo mondo, semplicemente. Perché il pallone, in realtà, lo porta sempre lui.