ESCLUSIVA TJ - Alberto Zaccheroni: "Vi racconto il mio Giappone, la mia esperienza alla Juve e come vedo questa Serie A"

29.12.2011 19:30 di  Gaetano Mocciaro   vedi letture
ESCLUSIVA TJ - Alberto Zaccheroni: "Vi racconto il mio Giappone, la mia esperienza alla Juve e come vedo questa Serie A"
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© foto di Alberto Fornasari

A 360° il tecnico della nazionale giapponese Alberto Zaccheroni, in esclusiva per TuttoJuve.com, ci racconta la sua avventura in terra asiatica e il suo punto di vista a riguardo della Serie A, facendo un tuffo anche alle sue esperienze passate:

Alberto Zaccheroni, come procede la sua esperienza in Giappone?

“Direi che sto facendo due esperienze: una professionale e un’altra di vita. Sono ospite di un popolo straordinario, gente splendida e si vive in un clima di grande rispetto ed educazione. Ti fanno stare bene, sono persone ligie al dovere e al rispetto delle regole e quando c’è questo funziona sempre tutto o quasi tutto. Ho avuto anche modo, purtroppo, di vivere in prima persona il terremoto, un’esperienza diciamo particolare per fortuna finita bene. Il paese purtroppo ha dovuto subire anche lo tsunami e le conseguenze derivanti la fuga radioattiva da una centrale colpita. C’è gente che ha perso tutto e chissà quando la situazione sarà completamente sistemata”.

Lei come se la cava fra lingua giapponese e alfabeto?

“Ho l’interprete che mi aiuta e fortunatamente si tratta di un ragazzo che sa benissimo l’italiano e che ha giocato a calcio, per cui conosce anche i termini tecnici. Del resto un po’ di inglese in Giappone si parla e riesco a cavarmela. Riguardo l’imparare la lingua ci rinuncio a priori: troppo complicato, per cui mi limito ai convenevoli”.

Con la nazionale giapponese sta ottenendo ottimi risultati, ricordiamo la Coppa d’Asia vinta a gennaio

“Sta procedendo tutto molto bene,  la squadra sta crescendo e i risultati sono sopra le aspettative. Bisogna cercare di crescere ulteriormente perché adesso ci stiamo giocando l’accesso ai Mondiali del 2014 e a giugno ci sarà la fase finale che durerà un anno, cercando di strappare uno dei quattro posti disponibili per l’accesso diretto a Brasile 2014. Il calcio asiatico sta crescendo e sappiamo di avere i favori del pronostico. Tuttavia, oltre ad Australia e Corea del Sud bisogna fare attenzione alle nazionali medio-orientali che puntano molto sul fattore ambientale: giocare a Teheran, Baghdad o Beirut non è certo facile”.

A proposito di fattore ambientale, lei ha avuto il merito anche di condurre la Nazionale nipponica a una lunga striscia positiva, interrotta in Corea del Nord. Com’è l’accoglienza in un paese noto per il suo regime?

“Siamo arrivati con la sfida contro la Corea del Nord già qualificati nel nostro gironcino di qualificazione per i mondiali, quindi abbiamo voluto fare qualche esperimento. Riguardo l’arrivo a Pyongyang dico solo che siamo stati trattenuti 4 ore in aeroporto per controllo documenti e che in albergo eravamo praticamente blindati, sotto controllo. Certamente una cosa mai vista prima”.

A che livello è il campionato giapponese?

“Quest’anno a causa dello tsunami il campionato è stato concentrato in pochi mesi e ha prodotto sorprese, infatti ha vinto una squadra che veniva dalla seconda divisione. Il 1° gennaio ci sarà la finale di coppa dell’imperatore e se la giocheranno due squadre di Serie B. Del resto ci sono ottimi allenatori, considerato che i migliori allenatori brasiliani quando emigrano prima di tutto fanno un salto in Giappone; ci sono anche allenatori serbi, come Dragan Stojkovic. È  un campionato dove non c’è pressione, con stadi pieni e un  calcio figlio del Brasile, molto tecnico. I  calciatori giapponesi non avendo dalla loro i centimetri possono vantare grande resistenza e ottima tecnica, grazie anche a una scuola di base molto buona. Non a caso ci sono 26 giocatori in Europa, i più adesso sono in Germania, come Kagawa, Uchida, Hasebe e Usami, senza dimenticare Honda del Cska Mosca, Nagatomo dell’Inter e altri che stanno in Olanda, Spagna e anche Inghilterra. Con i miei collaboratori, 4 giapponesi e 4 italiani abbiamo modo di dividerci fra Europa e Giappone e monitorare tutti”.

Come è visto il nostro campionato in Giappone?

“Al pari di quello inglese, spagnolo e ultimamente anche tedesco il campionato italiano ha grande seguito. Poi, ricordiamoci che con Nagatomo all’Inter sono molti gli appassionati”.

Nagatomo è  stato una delle rivelazioni del campionato: se l’aspettava?

“È un giocatore di grande velocità, usa sia il destro che il sinistro e le sue accelerazioni mettono in difficoltà chiunque. Poi da buon giapponese è molto resistente. Tutte queste qualità in un ruolo come quello del terzino che non riesce più ad avere grandi interpreti fanno gola e non è stato un caso che quand’era al Cesena abbia attirato le attenzioni di Inter, Milan e Juventus”.

C’è qualche giocatore che milita in Giappone che vedrebbe bene nel campionato italiano?

“Ci sono tanti giocatori giapponesi che potrebbero tranquillamente giocare in Serie A. Giovani estremamente interessanti che faranno parlare di sé ma da ct della nazionale nipponica non voglio dire chi. Sicuramente, senza andare a guardare i noti Kagawa oppure Honda, gente che non ha bisogno di pubblicità perché già nota a tutti vi sono alcuni giocatori che fanno parte della mia Nazionale molto interessanti, anche militanti in squadre non di primo livello”.

Veniamo al nostro campionato. Si aspettava di trovare questa situazione di classifica?

“Personalmente non sono sorpreso, mi aspettavo sia la Juve prima sia l’Udinese ancora in corsa. D’altronde qualcuna deve pur stare lassù e a parte il Milan, se escludiamo la Roma che ha cambiato molto e il Napoli che non è abituato al doppio impegno campionato-Champions, non c’è vasta scelta…”.

Ci sarebbe ancora l’Inter

“Si, ma ha cambiato 4 allenatori in un anno, quindi qualche problema ce l’avrà sicuro. Diciamo che rimanere in carreggiata dopo aver vinto tutto non è facile”.

Cosa c’è di nuovo in questa Juventus?

“Anzitutto la guida tecnica, ben vista dall’ambiente con un ex giocatore della Juve in panchina. Poi, un organico composto da molti più giocatori che non hanno vinto e che quindi hanno fame. E soprattutto il grande vantaggio di non fare le coppe e parlo per esperienza. Quando arrivai al Milan nel 1998 la squadra veniva da un undicesimo e un decimo posto. Avevamo diversi giocatori in la con gli anni, ma la cosa non pesò perché potemmo concentrarci solo sul campionato, quindi meno partite, meno usura e niente infortuni: alla fine ci siamo laureati campioni d'Italia. Non mi stupirei, quindi se la Juventus riuscisse a vincere il titolo, penso che se la giocherà fino alla fine con Milan e Udinese”.

A proposito di Juventus la sua esperienza è stata condizionata proprio dai numerosi infortuni

“C’è stato un periodo che si diceva che la colpa fosse di Vinovo, dell’umidità che c’era. Niente di tutto ciò, il problema erano le troppe partite. Nei cinque mesi di Juventus ho avuto sempre dai 12 ai 14 infortunati e non è certo facile”.

Anni fa disse che non avrebbe mai voluto prendere una squadra in corsa. Pentito della scelta di arrivare alla guida di quella Juve già nel pieno del campionato?

“Pentito assolutamente no e poi anche all’Inter e alla Lazio ho preso squadre in corsa. È vero, preferirei prendere le squadre all’inizio, ma offerte interessanti di club pronti a offrirmi panchine a inizio anno non ne ho avute, non so perché però è così. Posso dire che ho allenato solo in due posti dall’inizio: all’Udinese e aal Milan e tanto male non credo sia andata… Poi per gli allenatori c’è un mercato particolare e io sono un solitario, non ho procuratori o altro. Riguardo l’esperienza alla Juventus ci è mancata solo la salute, perché avevo un’ottima squadra. Tiro fuori un dato: finché non siamo usciti dalla corsa al quarto posto non abbiamo mai perso una partita nei primi 45’, siamo sempre crollati nella ripresa. Questo perché giocavano giocatori reduci da un infortunio, che non hanno fatto in tempo a recuperare ma che dovevano essere schierati perché non c’erano alternative. È un peccato non avere avuto questi giocatori sani, penso a Caceres, che la Juve non a caso ha ripreso, ma che nelle condizioni in cui era non si poteva valutare, oppure Sissoko che ha avuto problemi di ogni tipo. Capitano purtroppo annate così, del resto sarebbe anche importante dare una continuità tecnica per essere effettivamente dentro una squadra”.

Parla di continuità, ma in Italia continuano a saltare panchine: già dieci in questo campionato

“È la nostra cultura, un vizio che per giunta non produce utili. Il bilancio evidentemente non è così importante in una Società, perché se cambi tutti questi allenatori perdi un mucchio di soldi. E se guardiamo bene non si vede mai una squadra retrocedere senza che abbia cambiato allenatore. Al contrario, chi contro ogni tendenza ha confermato il tecnico nonostante una striscia positiva è stato premiato: penso ad Ancelotti, ad Allegri o a Guidolin, che l’anno scorso era a zero punti dopo quattro partite. A volte alcuni allenatori vengono presi, non vengono messi nelle condizioni di lavorare con gli uomini funzionali al loro calcio e magari vengono cacciati, sostituiti da un altro che gioca con un modulo completamente diverso. Non dico che sia un problema esclusivamente dei dirigenti, ma è un problema che riguarda proprio la cultura italiana, la nostra mentalità: I tifosi spingono, i media spingono, i presidenti spingono. Dobbiamo dare un motivo alla sconfitta e alla fine dei conti il espiatorio è l’allenatore”.

Lei è famoso per essere stato un precursore del 3-4-3, anche se in Giappone gioca diversamente

“Qui colgo l’occasione per sfatare una volta per tutte questo fatto. Io il 3-4-3 l’ho usato raramente, con Udinese, Milan e Torino. All’Inter avevo iniziato pure così, vincendo per giunta 6 partite su 7, poi si fece male Coco e non avendo alternative optai per il 4-4-2. Molti scrivono di Zaccheroni integralista col suo 3-4-3 ma non è vero, ormai sono passati tanti anni”.

Meglio ct o allenatore?

“Io mi adatto a tutto e mi trovo bene in entrambi i ruoli. La differenza è che l’allenatore vive la squadra nella quotidianità e ha più tempo per prepararla, al contrario del commissario tecnico. Il ct d’altro canto ha la possibilità di lavorare con un gruppo scelto da lui, perciò se un giocatore non ti piace non lo chiami mentre in un club te lo devi tenere!”.