Ricordate quel giorno? INTER-JUVENTUS
29 aprile 1984 – Stadio San Siro di Milano
INTER-JUVENTUS 1-2
Inter: Zenga; Ferri (dal 57’ Marini) e Collovati; Bini, Bagni e Baresi; Müller, Pasinato, Altobelli, Sabato e Serena. In panchina: Recchi, Muraro, Beccalossi e Meazza. Allenatore: Radice.
JUVENTUS: Tacconi; Gentile e Cabrini; Bonini, Brio e Scirea; Vignola, Prandelli, Rossi (dal 69’ Caricola), Platini e Boniek. In panchina: Bodini, Tavola, Furino e Penzo. Allenatore: Trapattoni.
Arbitro: Agnolin di Bassano del Grappa.
Marcatori: Cabrini al 24’, Platini al 37’, Altobelli su rigore al 45’.
“HURRÀ JUVENTUS”
È il Derby d’Italia sin dagli anni Trenta, quando la squadra neroazzurra si chiamava Ambrosiana e la Juventus Fidanzata d’Italia per via dei milioni di innamorati che ne erano rimasti affascinati, magari senza mai averla vista giocare dal vivo, ma semplicemente sognandola al cinema, come una diva del muto. Inter-Juventus mantiene il medesimo fascino negli anni Cinquanta, popolati di assi forestieri, e nei Sessanta, quando gli uomini simbolo delle due squadre sono Sivori e Helenio Herrera, rivali e talora nemici per la pelle. Ma c’è molto da raccontare anche in epoche più recenti, di sfide al calor bianco che decidono scudetti e destini di allenatori, presidenti, giocatori.
È bello vincere lo scudetto, è bellissimo vincerlo con tre settimane d’anticipo. È sublime conquistarlo a San Siro. Accade tutto questo alla Juventus edizione 1983-84 che veleggia, da cima a fondo della stagione, in perfetta solitudine su Roma, Fiorentina e Verona avversari di rango ma lasciati a debita distanza. Quella domenica, la terz’ultima di una stagione da record, la Juve recita a soggetto contro l’Inter, giocando una delle partite più didascaliche della sua annata, che pure è costellata di imprese da antologia. Perché l’avversario è irriducibile, e nella circostanza pure si supera, e perché nel successo entrano ingredienti usuali miscelati però in maniera unica.
Unico il sinistro di Cabrini che apre la festa, stratosferica la giocata di Platini che praticamente la chiude. E straordinaria è la determinazione di una squadra che alla distanza deve anche fare i conti con la faticaccia di Coppa delle Coppe, poiché il mercoledì prima Platini e compagni sono stati protagonisti della vittoriosa semifinale con il Manchester United, che ha aperto loro le porte della finalissima di Basilea. Siede sulla panchina dei neroazzurri Gigi Radice, l’uomo dello scudetto granata e della rivalità anni Settanta con la Juventus già siderale e già di Trapattoni.
L’Inter di Radice non è con le primissime solo perché ha perso sbadatamente punti preziosi nel girone di andata; il ritorno è a passo di carica e la società pensa in grande se è vero, com’è vero, che come prologo alla sfida con la Juve, il neopresidente Pellegrini presenta il nuovo acquisto chiamato a guidare la riscossa: Karl Heinz Rummenigge. E in campo ci vanno comunque fior di campioni, su tutti il duo di attacco che sarà poi, in epoche successive, anche bianconero, Aldo Serena e Spillo Altobelli.
C’è un vento freddo che poco ha di primaverile e c’è uno stadio pieno come un uovo, con tifo equamente suddiviso e fumogeni che impregnano tutto. Agnolin da Bassano del Grappa dirige dall’alto di un antico mestiere. Per una sfida così delicata, il piano delle marcature è più importante del solito. Radice sistema Collovati su Pablito Rossi, Ferri su Boniek, Bagni su Platini. Trapattoni replica con Brio su Serena, Gentile su Altobelli e Bonini su Hansi Müller. Il resto viene da sé: Pasinato-Cabrini, Prandelli-Baresi, Sabato-Vignola.
La partita vive di sussulti meravigliosi. La Juventus galleggia su schemi consolidati e classe purissima, Platini talvolta si esime da rincorse stancanti, ma è vivissimo quando serve rifilare stoccate e fare la differenza. Rossi gioca palloni preziosi e punzecchia Collovati come una zanzara. Boniek scavalla a briglia sciolta portandosi a spasso stuoli di avversari e pazienza se non esegue a puntino le istruzioni del Trap. In mezzo, c’è chi sgobba per tre, come Bonini e Prandelli, jolly utilissimo che nella circostanza rimpiazza Tardelli, uscito malconcio dalla serata di coppa.
L’Inter osserva e cerca di controbattere, ma nel primo quarto d’ora c’è solo la squadra bianconera a menare la danza. Va al tiro Rossi e Zenga ribatte alla meglio. Poi, Platini trova un paio di varchi guizzando imprendibile senza trovare la botta risolutiva. I neroazzurri oppongono il gran lavoro di Bagni e Sabato che tentano, con un podismo frenetico, di tamponare qua e là.
Poi, la gara ha un’accelerazione decisiva. E la Juventus traduce le intenzioni in fatti. 24’ minuto, Vignola arresta in acrobazia un pallone nell’area interista e assiste il sinistro melodioso di Cabrini con un retropassaggio che il Bell’Antonio sfrutta alla perfezione. Rasoiata al volo, angolatissima, che non concede alcuna possibilità a Zenga. 1-0.
La Vecchia Signora danza su ritmi proibitivi, la fantasia e l’imprevedibilità di un gregario, il Vignola che ha nome e portamento di un antico, capitano di ventura, incantano come e più delle mosse di Platini. Ma Platini è Platini, cioè unico, cioè supremo. 37’, Rossi a Boniek che galoppa per verdi praterie e poi smarca il francese. Michel entra in area, punta Zenga e ne attende l’uscita per superarlo poi con un destro sublime quasi di piatto, che va a spegnersi, lentissimo e inesorabile, nell’angolino basso più lontano. 2-0.
Mezzo stadio in delirio, l’altro mezzo ammutolito e poi sciolto in un tiepido, applauso di stima. Ci mancherebbe. Un goal da cineteca.
44’, l’Inter vuole dire la sua. E sembra che la partita non debba finire qui. I neroazzurri dimezzano lo svantaggio. Cross di Pasinato dalla trequarti, Gentile e Altobelli sgomitano, Agnolin vede il fallo dello juventino e indica il dischetto del rigore. Altobelli si accomoda e non sbaglia, nonostante Tacconi. 2-1.
Ripresa. La Juventus vuol chiudere senza rischi e accelera. 53’, Platini apre per Vignola, il veronese converge al centro e fa partire una fucilata che Zenga ribatte casualmente coi pugni chiusi. Quasi goal, avrebbe detto un radiocronista di lontane, epiche sfide tra bianconeri e neroazzurri: Nicolò Carosio. 58’, anche l’Inter è in campo e ogni tanto sussulta e fa sussultare i suoi fan. Serena guadagna un po’ di spazio e tira di potenza e precisione ma Tacconi vola a deviare con i pugni in angolo.
Insiste la squadra di casa, che vorrebbe rimandare la festa bianconera: 81’, Hansi Müller si ricorda di avere un grande destro e, quando lo fa schioccare, tocca a Tacconi guadagnarsi la pagnotta deviandolo dal “sette” cui era diretto.
È tutto. Juventus gigantesca, Roma sempre a quattro punti e mancano centottanta minuti alla fine. Un punto tra la Signora e lo scudetto numero ventuno. Arriverà sette giorni dopo, Juventus-Avellino 1-1.
E arriveranno tante altre cose grandi, nei giorni che seguiranno. A cominciare da una Coppa delle Coppe vinta in modo risorgimentale a Basilea grazie ai portentosi goal di Vignola, che qualcuno già chiama Vignolì, e Boniek, che scaraventerà in porta, con il pallone del 2-1, anche tutta la propria rabbia per una stagione di luci e ombre.
Spogliatoi tutti per Michel Platini, al ventesimo goal, capocannoniere assoluto che solo un grande Zico contrasta nella scalata al secondo titolo consecutivo dei bomber. Ma a Michel interessano cose più importanti. Il suo primo scudetto italiano, per esempio. «Ho avuto paura dell’Inter e del suo pressing. Nel secondo tempo ci hanno fatto soffrire. Ma che primo tempo favoloso della Juve! Finché le gambe hanno retto, siamo stati perfetti». Platini più romantico e meno guascone del solito, uno scudetto merita un po’ di poesia.
E Cabrini, l’altro goleador: «Una rete importante, un grande passaggio di Vignola. Con la calma e la sicurezza siamo riusciti a non avere paura».
Il presidente Boniperti, nell’intervallo, prima della consueta fuga: «Bella partita, si gioca così a calcio. Platini? Dio lo benedica. Ma bravi tutti».
Zibì Boniek: «Dedico lo scudetto ai tifosi, spero di restare qui a lungo. Sono il primo polacco a vincere il campionato più bello e difficile del mondo, posso essere orgogliosi».
Enzo Bearzot, commissario tecnico azzurro Campione del Mondo: «La Juve è preparatissima, non ha affatto risentito delle fatiche con il Manchester».
Bugia, la Juve ha risentito eccome, ma la classe e il mestiere servono a questo, a nascondere le magagne, quando affiorano.