Chiellini a Gazzetta: "Sono malato di smartphone, racconto vizi, virtù e segreti.."

18.10.2014 09:30 di  Redazione TuttoJuve  Twitter:    vedi letture
Chiellini a Gazzetta: "Sono malato di smartphone, racconto vizi, virtù e segreti.."
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

Giorgio Chiellini ha parlato a la Gazzetta dello Sport raccontandosi a 360 gradi.

Vizi: “Ma hai cambiato telefono un’altra volta?”. Tutti così, è un tormento. “Sì, ancora, dopo quattro mesi: embé?”. Non bevo: le mie ciucche con gli amici le ho prese, ma tutto lì. Non fumo: ho provato una volta e fra un po’ mi strozzo. Non mi sono mai drogato: manco passato una canna in vita mia. Mangio bene: una fetta di crostata con il caffé e una vaschetta di gelato sono il mio massimo sgarro. E allora? Allora cambio smartphone in continuazione, adesso anche più dei computer: prima diventavo matto per la Playstation - anche 7-8 ore al giorno quando ero a casa da solo - e ora sono malato di tecnologia, forse ne so quanto quelli delle riviste specializzate. Ah, quattro anni fa mi sono comprato una Ferrari: modello 458, nera. Ma quello non è un vizio, semmai uno sfizio: la sognavo da quando ero bambino". 


Tatuaggi: "Una delle cose che detesto di più è la noia: ho quasi paura di annoiarmi, ma soprattutto ho paura che le cose mi vengano a noia. Ecco perché fino ad oggi non mi sono fatto neppure un tatuaggio: e se poi mi stufa? Solo di una cosa è molto difficile che ti stufi: di un figlio. Quello potrà essere l’unico motivo che mi darà una spinta: il primo tatuaggio per il primo figlio. Magari piccolo, ma se mi sentirò sicuro al cento per cento lo farò. Così può avere senso: un tatuaggio per me dovrebbe essere la certificazione sulla pelle di uno stato d’animo, un episodio, una fase della vita, un ricordo. Per questo dico che bisognerebbe pensarci un po’ di più prima di farsene uno: possibile che 20- 30 tatuaggi corrispondano a tutte situazioni indelebili? Ogni volta che il mio amico Simone Pepe si presenta con uno nuovo lo insulto: «Un altro? Dai, ma che senso ha?». Ma soprattutto, mi chiedo e chiederei a tutti quelli che ne hanno così tanti: ma con tutto il rispetto, a settant’anni pensate di po- ter essere un bello spettacolo?".



Il bivio del 2007: "Potevo andare a giocare in Inghilterra. Poteva succedere nel 2007, e non sarebbe stata poi così cattiva: semplicemente, avevo la Juve nel destino, altrimenti sarei andato alla Roma nel 2004 visto che era tutto fatto. Da ragazzo i paletti me li mettevo da solo: di bighellonare non ho avuto tempo perché andavo a scuola, di andare a rubare non avevo biso- gno perché non mi mancava niente e ai miei amici neanche. Oggi purtroppo sarei un’eccezione, il con- sumismo è sfrenato ma i mezzi sono quelli che so- no: sbagliare strada è molto più facile".


Suarez: "L’ho detto cento volte, ma non ho cambiato idea: il più forte di tutti resta Ibrahimovic. Mai visto uno spostare gli equilibri da solo come lui. In campo ci siamo dati e detti di tutto: presi a calci, sgomitati, strattonati, anche minacciati, il giorno del primo Juve-Inter dopo Calciopoli: “Ti aspetto fuori”, “Ok, ci vediamo lì”. Poi al 90’ nulla: a forza di fare a sportellate nelle partitelle, a Torino, avevamo anche un buon rapporto. In un Napoli-Juve con Cavani siamo, anzi sono, arrivato alla tirata di capelli, ma prima ancora era successo altro ovviamente. Ecco, al Mondiale perlomeno lui lo marcavo: Suarez no, gli stava molto più addosso Barzagli. Perciò quel morso mi ha fatto reagire così: non mi prendo mica a morsi da solo, l’arbitro come poteva non aver visto? In quel momento non era questione di fare la spia, ma di andare o no agli ottavi: ero sicuro che se fosse stato espulso lui l’Uruguay non avrebbe mai passato il turno, come ho sempre pensato che con Zidane in campo, ma- gari nel 2006 sarebbe finita in un altro modo".

Idolo: " Ecco, Paolo Maldini è stato un modello soprattutto in questo. Per come ha giocato, certo: quando da tifoso del Milan com- pravo astuccio e quaderno rossoneri era per lui e Franco Baresi. Da ragazzino per anni ho sognato la sua maglia e poi l’ho avuta un giorno a San Siro, peccato che mi è toccato scambiarla dopo aver perso 6-0, e avevo pure fatto autogol. A quei tempi giocavo terzino sinistro: ero un giocatore molto diverso da lui, ma come facevo a non guardarlo? Però, dicevo: come ha lasciato mi ha colpito ancora di più. Il passo finale con quei fischi dei suoi tifosi è stato un brutto spettacolo eppure lui è sta- to bello anche quel giorno, a testa alta, come quando giocava. E come ha camminato pure dopo: in disparte, senza polemiche".



La separazione dei genitori: "Quando è successo avevo 7 anni e sono diventato grande più in fretta, ma solo perché i miei sono stati bravi a non farcelo pesare e anche i loro nuovi compagni: oggi siamo una specie di grande famiglia allargata e l’abbiamo vissuta come un nuovo inizio. Quando litigavano di brutto non è stata una passeggiata, alla fine è stato un sollievo: e mi dico bravino anch’io, che sono sempre stato protettivo con il mio gemello, forse perché ero più grande e grosso. Ho vissuto con la mamma che mi ha insegnato il valore della forza di volontà, ma vedevo il babbo almeno tre volte la settimana e lui mi ha trasmesso la capacità di non drammatizza- re i problemi. Credo di sapere già quanti figli avrò, due, ma non quando: non c’è fretta. A loro spero di regalare il senso del legame con i genitori, che io ho con i miei e Carolina, mia moglie, con i suoi: oggi per troppi figli non è così, tropp".

 Migliore amico: "Il mio migliore amico guida i treni e già questo non è da tutti, ma nella sua cabina non sono mai entrato: però so dire tutto di come porta lo scooter, diventavamo matti per i nostri SR Aprilia e stavamo quasi più col sedere lì sopra che con i piedi per terra. Valerio è stato un compagno di tutto: di banco a scuola, di merende quando facevamo brucia per andare ai bagni Pancaldi, di vacanza in Tunisia nel 2006, single al duecento per cento. E pure di squadra, nelle giovanili del Livorno, poi io dalla C1 alla A e lui in Eccellenza: mai geloso, neanche per un minuto. “È un amico vero”, mi sono detto. E continuo a dirmelo quando vedo che l’unica cosa che mi chiede è poter fare ogni tanto gli scemi come una volta, a ricordare le cavolate di quindici anni fa e a ridere fino alle cinque del mattino. Quando mi dice le cose in faccia: magari con una battuta, ma senza sconti. Come Giannichedda, un fratello maggiore quando arrivai alla Juve. Avevo paura anche di parlare, mi insegnò l’equilibrio che serve in questo mondo: “Divertimento quando puoi, sacrifici sempre. E impara a capire i momenti”. Quanto aveva ragione".