SU LA TESTA, JUVE
Da mercoledì la Juventus è fuori dall’Europa League, quando manca ancora una gara alla conclusione del gironcino.
Intendiamoci: non si tratta di una novità degli ultimi giorni, ormai in molti si erano abituati a questa idea, a partire dai milioni di sostenitori bianconeri sparsi per il mondo sino ad arrivare agli stessi giocatori. Quando accumuli cinque pareggi in altrettante gare non puoi pensare che le altre squadre stiano lì ad aspettarti, anche se si chiamano Salisburgo o Lech Poznan. A proposito: complimenti ai furbetti del quartiere polacco. E meno male che all'estero continuano a pensare che solo gli italiani sarebbero in grado di inventarsi "giochetti" come quelli ammirati due sere fa per rendere impraticabile il campo, messo già a dura prova dalle difficilissime condizioni climatiche.
Escludendo la trasferta di Manchester i bianconeri hanno gettato al vento più di un’occasione per creare le basi per un eventuale passaggio ai sedicesimi di finale. I motivi di questi errori vanno ricercati nei troppi infortuni, negli approcci sbagliati agli incontri, nei ripetuti cali di concentrazione in alcuni momenti delicati, nella indisponibilità - per questa manifestazione - di giocatori del calibro di Aquilani e Quagliarella, in una squadra nuova da assemblare nata dalle ceneri della precedente gestione di Jean Claude Blanc.
Quella che in cinque anni avrebbe dovuto riportare la Vecchia Signora ai fasti di un tempo.
Del Neri, nell’immediato dopo gara col Lech Poznan, ha rilasciato questa dichiarazione: "E’ stata figlia delle prime partite (l’eliminazione, ndr), perché stavolta abbiamo costruito sette palle gol, sette calci di rigore. E’ una delusione pesante. Ma peserà zero sul futuro: chi ha visto la partita non può dire nulla: la squadra ha ormai un suo clichè, hanno giocato ragazzi di diciotto anni".
A volte una semplice battuta, magari pronunciata ad inizio anno calcistico, può servire da spunto per costruirci intorno tutte le considerazioni di un’intera stagione: seguendo questo schema viene usato (e abusato) il "bicchiere" (mezzo pieno o mezzo vuoto) del tecnico di Aquileia per dare una valutazione di ogni partita della sua Juventus. Adesso, più che guardare i lati positivi e quelli negativi dell'eliminazione dalla manifestazione europea, non resta che concentrarsi sulle competizioni che sono rimaste: il campionato e la Coppa Italia. Anche perchè non ci sono alternative.
La Vecchia Signora è uscita dall'Europa dalla porta di servizio, con l’obiettivo di rientrarci da quella principale il prossimo anno. La formazione solida a cui manca spesso il colpo del k.o. vista in campionato è meno diversa da quella che ha partecipato all'Europa League rispetto a quanto si legge (e si sente) da più parti.
Il 3-3 ottenuto contro il Lech Poznan è capitato a distanza di quattro giorni dalla gara contro la Sampdoria in campionato terminata con un risultato identico. Nella partita contro il Manchester City la squadra di Del Neri mostrò dei miglioramenti che vennero confermati settantadue ore dopo al "Meazza" contro l'Inter. Dopo la vittoria per 4-0 ottenuta contro il Lecce allo stadio "Olimpico" la Juventus ebbe una flessione che si manifestò sia nella successiva gara giocata a Salisburgo che in quella disputata a Bologna, finita anch’essa con un pareggio. L'incontro di Torino con gli austriaci vide la presenza di quattro giocatori provenienti dalla formazione Primavera: uno dall'inizio della gara (Giandonato), gli altri tre a partita in corso (Giannetti, Liviero e Buchel). Questo perchè la precedente vittoria a San Siro contro il Milan (giocata di sabato sera) le era "costata" moltissimo, anche in termini di infortuni. La gara di mercoledì scorso, decisiva per le sorti di Madama in quella manifestazione, è stata preceduta da tre pareggi e due sole vittorie in campionato.
Fermo restando il valore diverso degli avversari (al netto del Manchester City) e gli evidenti errori che la Juventus ha compiuto nel suo breve percorso in questa Europa League, il cammino fuori dall’Italia è stato sempre legato a doppio filo a quello che accadeva in serie A nei momenti immediatamente precedenti o successivi a quegli incontri. Non c’è stato "snobismo" (allo stato puro) da parte dei bianconeri nei confronti di questa manifestazione, quanto - piuttosto - un cammino altalenante tipico di una squadra nuova, figlia di una società (quasi) completamente rivoluzionata la scorsa estate alla quale vengono concesse giustificazioni il tempo utile per arrivare alla prima sconfitta. Poi, piaccia o non piaccia, piovono critiche con la stessa intensità della nevicata caduta a Poznan mercoledì.
Perchè? Perchè si chiama "Juventus", ed è un nome che ha solo un cognome: vittoria.
La squadra si isoli presto dalle critiche e continui il suo processo di crescita, mostrando i progressi registrati da agosto ad oggi. A chi sostiene di conoscere già l’esito finale di questa stagione basta ricordare l'esordio in campionato a Bari: da allora qualcosa è cambiato. Se poi sarà un fallimento, vorrà dire che verranno raccolti i cocci e si ripartirà di nuovo. Questa volta, però, non "da zero".
Su la testa e avanti, ora. Col caldo di Catania, l’esatto opposto di quanto Madama ha trovato in Polonia.