Moby Dick - Il B52 può stupire. Ecco perché Bendtner non va sottovalutato. Con lui anche il tridente sarà possibile

Editorialista del mensile "Calcio 2000" fondato da Marino Bartoletti, collaboratore de "Il Riformista". Vincitore del premio "Miglior giornalista di Puglia". Autore delle autobiografie di Paolo Montero e Antonio Conte
05.09.2012 00:25 di  Alvise Cagnazzo   vedi letture
Moby Dick - Il B52 può stupire. Ecco perché Bendtner non va sottovalutato. Con lui anche il tridente sarà possibile

Il nomignolo con il quale in Toscana si fabbricano le novelle sui miti di provincia, come quelli rappresentati nelle sale cinematografiche con il film “Ovosodo” di Virzì del ridanciano personaggio in grado di scandire, o forse sarebbe più opportuno dire “espellere”, la parola Wayoming, è talvolta in grado fotografare una attitudine. Un nesso fra l’essere e l’apparire, un elemento di raccordo fra ciò che si è e che si desidererebbe essere. Il soprannome di un cacciabombardiere d’assalto, di un aereo dalle ali taglienti e dai missili pesanti e potenti, avrà pure i suoi lati negativi. Come quello di associare il calcio alla guerra, il presunto bene, rovinato dai soldi, al male assoluto. Eppure, proprio come cantava De Gregori, alla guerra hanno sempre giocato e fantasticato tutti, perlomeno da bambini. Agli angoli delle strade o nei corridoi di casa, fra gli specchi del salone o le sedie a nido d’ape della cucina. “B52”, che piaccia o meno, è l’appellativo cucito sulle spalle larghe di Niklas Bendtner, un ragazzone con la faccia fa schiaffi e il ciuffo da passerotto. Uno, per render l’idea, che pare frequentare le birrerie anche di giorno per quel viso pallido e lo sguardo spiritato.

Tipo discusso e discutibile, il danese. Rissoso come un sudamericano, intermittente come uno slavo. Il nuovo numero diciassette bianconero non pare possedere il senso della misura, il medesimo che in tempi non sospetti gli avrebbe impedito di sbraitare con Wenger nello spogliatoio dell’Arsenal per essersi riscaldato senza entrare in campo. A ventiquattro anni gli errori però non sembrano esser concessi, soprattutto a chi non possiede l’appeal di un giocoliere ma il fascino, assai naif, del bomber vecchio stampo. Quello del tiro potente e quasi mai preciso, quello delle sbracciate in area di rigore e dei colpi di testa simili a colpi di cannone. Alla Juventus, con Giovinco e Vucinic, sarebbe stato difficile rafforzare l’organico con l’ennesimo palleggiatore dai piedi educati. Meglio puntare, semmai, su un corazziere d’area pieno di difetti capaci di renderlo estremamente indispensabile in un gioco che, fatta eccezione per il gradevole avvio di campionato, ha sempre patito l’assenza di un centravanti capace di spaccare la difesa avversario grazie al fisico.

Forse Bentdner ha soltanto sbagliato epoca. In un calcio anni cinquanta, e forse persino anni sessanta, la sua potenza fisica avrebbe conquistato l’attenzione e l’ammirazione di molti. Un giocatore di lotta più che di governo, capace di sopperire ad una spesso confusa lucidità sotto porta con un grande lavoro di sponda. Un granatiere più che un arciere, un masso grande e grosso più che una pietra levigata. La carriera dell’ariete più indisciplinato che la storia della mite Danimarca abbia mai conosciuto recita però un bottino poco incline alle caratteristiche di un cannoniere, a conferma di un processo di crescita tecnica ancora in fase di evoluzione. Eppure, agli occhi di qualche miope ed infedele detrattore, sarà sfuggita l’età di un calciatore ancora molto giovane. Oltre che alla mancanza di fiducia da parte dell’Arsenal. L’enigma Podolski e l’incognita Giroud non paiono superar di molto le qualità complessive del B52 atterrato a Torino. Il tedesco, nazionale a parte, non ha mai convinto appieno. Così come il francese. Più clone di quel Guivarc’h mai esploso, e giudicato peggior puntero della storia della Premier League, che di quel Trezeguet ostentatamente ammirato.

Abile nel duetto sullo stretto, potente nello scatto e nell’elevazione, Bendtner rappresenta il terminale ideale per una squadra capace di macinare chilometri senza riuscire a finalizzare l’enorme mole di gioco prodotta. Senza un ariete, senza un centravanti ancora acerbo ma in piena crescita, la via della rete non può esser affidata al solo genio di Giovinco e di “Houdini” Vucinic. Con il danese in squadra il gioco aereo beneficerà di un incredibile stoccatore, anche in fase difensiva. Il movimento a mezza luna, reso famoso nella sua impeccabile esecuzione da Enrico Chiesa, è nel repertorio del danese tutto muscoli e poca eleganza, interprete di un calcio inglese concreto e nervoso. Difficile, se non impossibile, acquistare in prestito, ed a costo zero, con un riscatto fissato a soli cinque milioni, gli stessi spesi per acquistare Simone Padoin, il doppio della valutazione attribuita al carneade Troisi, un giocatore titolare della propria nazionale. Ma forse questo, nella Juventus che ha ancora oggi sul groppone i contratti di Iaquinta, Martinez e Iaquinta, non deve esser sfuggito…

 

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CHI E' ALVISE CAGNAZZO - Alvise Cagnazzo (1987) è nato a Bergamo e vive a Bari. Giornalista, scrittore, autore e conduttore televisivo, è il più giovane vincitore del premio “Miglior giornalista di Puglia” sezione carta stampata -sport, istituito dall’Odg. È autore dei libri “Tutti zitti, parlano loro”, (2007), “Semplicemente Rafa” (2010) e, “Montero, l’ultimo Guerriero (2010) e, sempre per Bradipolibri, "Antonio Conte, l'ultimo gladiatore" (2011). Ha collaborato con Carlo Nesti. Ha condotto, per centosessantaquattro puntate, il programma televisivo “Parliamo di calcio”, in onda su Rtg Puglia in prima serata. È firma di Calcio2000, mensile nazionale e internazionale fondato da Marino Bartoletti, diffuso in trentadue paesi. Collabora con il giornale “Puglia”, fondato da Mario Gismondi, ex direttore del “Corriere dello Sport”. Collabora con “Il Riformista”. Editorialista per “Tuttojuve.com con la rubrica Moby Dick”. Ha partecipato come opinionista tv a “Quelli che il calcio” su Rai 2 e “La giostra dei Gol” su Rai International.