LA JUVE TRA ZACCHERONI, CANDREVA E... MR. HODGSON
"Zaccheroni ha un contratto fino a giugno, ma saremmo felici se ci mettesse in difficoltà: è ancora tutto da decidere". Così parlò Roberto Bettega il 18 febbraio scorso, all’alba della partita di andata dei sedicesimi di finale di Europa League tra Ajax e Juventus, in programma ad Amsterdam.
Hiddink e Benitez le scelte più prestigiose per il dopo-Ferrara; Roberto Mancini un’illusione (onerosa e fantasiosa) durata lo spazio di pochi giorni; quello con Claudio Gentile il vero ballottaggio che, una volta vinto, consegnò ad Alberto Zaccheroni una delle panchine più ambite del mondo.
Il ruolo? Traghettatore. Una via di mezzo tra allenatore e psicologo; una posizione dove le responsabilità non mancano, ma dove gli errori hanno comunque un "inizio" precedente rispetto al tuo arrivo; come impegno l’obiettivo di salvare il salvabile, portando la barca a destinazione con il minor danno possibile.
Poi: una stretta di mano, un "grazie" e un "arrivederci". Forse.
Il solo fatto che al "traghettatore" venisse concessa la possibilità, a parole, di potersi giocare qualche chance per la conferma nella stagione successiva (la prossima) alla guida della Juventus (da "allenatore"), venne visto come un altro, ulteriore segno di ridimensionamento della Vecchia Signora. Come se non fossero bastate una stagione disastrosa nata da un’idea estiva che aveva comunque sollecitato qualche fantasia, le promesse mancate e le continue incertezze sul futuro della società prima ancora che della squadra. Il primo tassello da sistemare, quello dell’allenatore, dava l’idea di una scelta dettata da una volontà di (ulteriore) ridimensionamento. Invece…
Buonsenso, esperienza, concretezza, ricerca di nuove soluzioni adatte alla squadra piuttosto che agli schemi prediletti, sprazzi di gioco in un deserto arido da mesi, risultati: in poco meno di un mese, molto (quasi tutto) è cambiato. La certificazione della bontà della scelta compiuta è rappresentata dalle dichiarazioni in difesa della "sua" Juventus, in relazione alle recenti polemiche sugli arbitraggi. Quelle che rappresentano la regola: prima del 2006 e dopo. In pratica: da sempre. Con una differenza: prima c’era chi la sapeva proteggere.
Prandelli, Gasperini, Allegri, Giampaolo, (ancora) Benitez,…. Nomi che vanno e vengono, una scelta da compiere in funzione di un’idea vincente.
Scelta che non potrà basarsi sul banale "non ha mai vinto prima" oppure "ha parlato male della Juventus".
Se questo fosse stato il metro di valutazione applicato nel passato, in bianconero non sarebbero mai arrivati tre dei più grandi allenatori della storia del calcio: Giovanni Trapattoni, Marcello Lippi, Fabio Capello.
Tra chi "non era nessuno" (come mister) prima di approdare a Torino, a chi si scagliava con forza contro i "gesuiti" che non "avrebbe mai allenato".
La forza di una società vincente è rappresentata dalla scelta di un gruppo dirigenziale funzionale all’unico obiettivo posto: vincere. Il fallimento della Juventus attuale è frutto proprio degli errori compiuti in questo senso.
Nel perseguire gli scopi vanno poi individuati i giusti protagonisti, tra i quali l’allenatore. Solo chi ha "veramente" competenza è in grado di scegliere la persona adatta (sia dal punto di vista umano che tecnico) a questo compito, a cui consegnare una fuoriserie: perché con una macchina di piccola cilindrata non si va da nessuna parte. Chiunque si trovi alla sua guida.
Scelta che, comunque, potrebbe anche portare alla conferma dello stesso Zaccheroni: di diritto (acquisito) giustamente entrato nella rosa dei candidati.
"E’ lui l’uomo giusto per uscire dalla crisi". Non appena la trattativa per l’acquisto di Antonio Candreva si concluse, le prime parole che Roberto Bettega (ancora lui) spese per il giovane talento furono queste.
Ci si trovava quasi al termine dell’era-Ferrara, e non si poteva intervenire in maniera massiccia sul mercato: per la difficoltà nell’acquistare giocatori in quel momento della stagione; perché l’allenatore sarebbe cambiato a breve; perché di soldi ne erano già stati spesi l’estate prima; perché c’era un bilancio sano da rendere splendido in vista dell’introduzione prossima-futura del famoso "fair play finanziario". Quello che era nei progetti (e nei sogni) di Jean Claude Blanc, nelle promesse di Platini e che rimane tuttora nelle convinzioni dei gestori del sito della Juventus (guardate che non partirà prima del 2015… Almeno…).
Tra Paolucci (tornato a Torino) e Lanzafame per l’attacco, la scelta migliore poteva essere… Immobile. Il "giovane" Ariaudo, con tutta probabilità, avrebbe meritato più fiducia del "vecchio" Cannavaro. Ekdal, a centrocampo, (forse) sarebbe servito da subito. Poi, però, arrivò lui: Antonio Candreva. Dopo le prime titubanze, pian pianino ha iniziato a prendere confidenza con i compagni e l’ambiente, sino a diventare un elemento importante. Si tratta di uno dei pochi giocatori in grado di unire la quantità alla qualità, concedendo allo stesso Zaccheroni la possibilità di inserirlo in ruoli diversi, cambiando - così - più volte il "vestito" della Vecchia Signora.
Che adesso ripartirà giovedì, per un cammino europeo che inizia a destare i primi interessi: la fame di vittorie, bruscamente interrotta nel 2006, è tanta. Ripartire con una Europa League può essere il giusto viatico per riprendere confidenza con l’unica lingua conosciuta dalle parti di Torino: quella della vittoria.
Avversario il Fulham, allenato da una vecchia conoscenza del calcio nostrano: Mr. Roy Hodgson. L’uomo per cui "Pistone era meglio di Roberto Carlos". Un "promemoria", l’ennesima riprova che gli scudetti - prima di Calciopoli - si vincevano e si perdevano sul campo. Altro che storie…