Gli eroi in bianconero: Mario ASTORRI
Negli anni dei Sentimenti, si fa valere anche un piacentino acquistato per avere una valida alternativa al giovanissimo Boniperti appena sbarcato dal Momo: si chiama Mario Astorri, è del 1920 e nella Spal, dove è cresciuto, ha segnato cataste di goal in tutti i modi possibili. Nel 1946-47 è molto più di un ripiego, anzi si rivela fior di cannoniere, in assoluto uno dei più prolifici della storia bianconera nel rapporto tra reti segnate e partite giocate: 17 goal fatti in 23 partite non sono bruscolini e si tratta in molti casi di reti pesantissime. Ma Boniperti cresce più in fretta del previsto e Astorri deve trovare fortuna altrove, all’Atalanta prima e al Napoli poi. Con qualche rimpianto.
«Alquanto irsuto, di bruno pelo – racconta Caminiti – con bell’opportunismo, fu più redditizio del Piola juventino. Ma apparve Boniperti con la sua classe bionda e fu venduto all’Atalanta. Per il dispiacere di Zambelli che entrava nello spogliatoio e si deliziava a vederlo».
ALBERTO FACCHINETTI, DAL “GUERIN SPORTIVO” DEL MAGGIO 2020
La carriera di calciatore si è appena conclusa, quella di allenatore sembra non decollare. Nel 1957 l’ex centravanti della Juventus Mario Astorri decide di spostarsi in Danimarca a gestire il business delle “cartoline che cantano”. Presto l’appeal di questo particolare prodotto (un disco con le sembianze di una cartolina postale) va in crisi. Nel frattempo Mario a Copenaghen ha trovato l’amore e ‘divorziato dalla moglie in Italia. Deve reinventarsi una nuova vita, perché in tasca non gli è rimasto un soldo. Inizia ad allenare piccoli club danesi delle categorie inferiori, riuscendo a migliorare tutte le squadre che gli danno in mano. Sa caricare i suoi ragazzi, dando loro coraggio ed entusiasmo. Blinda la difesa e lascia spazio ai giocatori con più talento in attacco.
Nel 1964 si trova sulla panchina di AB, una squadra che milita nella seconda divisione danese. La porta nella massima serie e nel 1967 vince il campionato nazionale. E la prima volta in assoluto che un italiano festeggia da allenatore uno scudetto all’estero. Tanti anni dopo vincere i campionati diventerà una consuetudine per i vari Trapattoni e Ancelotti, che oggi detengono il record (assieme a Tomislav Ivic, Ernst Happel, José Mourinho ed Eric Gerets) di quattro titoli nazionali in quattro diversi paesi. L’ultimo allenatore italiano in ordine di tempo a conquistare un campionato nazionale all’estero è stato Fabio Cannavaro, che lo scorso dicembre con Guangzhou è arrivato primo nella Super League cinese per club. Ma è stato Mario Astorri cinquantatré anni fa l’uomo che ha dato il via a questa lunga tradizione di allenatori italiani vincenti fuori casa.
Quando Mario arriva in Danimarca, trova un calcio che è ancora nel pieno della sua fase dilettantistica. Ai calciatori che firmano un contratto all’estero da professionisti è impedito di giocare in Nazionale. Soltanto nel maggio del 1971 gli “stranieri” iniziano a essere convocati nella selezione nazionale. Il primo torneo Pro in Danimarca è quello del 1978, in ritardo di anni rispetto agli altri Paesi dell’Europa occidentale.
Classe 1920, Astorri è stato un ottimo calciatore che ha toccato l’apice della sua carriera nell’immeditato dopoguerra. Nato in provincia di Piacenza, si è trasferito da bambino a Mestre con la famiglia. Qui ha esordito in prima squadra, segnando subito un gol e facendo intravedere la sua classe e il suo carattere. Poi un campionato nel Venezia in tempo di guerra e quindi a Schio, dove viene adocchiato dal presidente della Spal Paolo Mazza, uno dei migliori talent scout della storia del calcio italiano. Da Ferrara arriva nel 1946 alla Juventus. Esordisce con una doppietta e chiude il torneo con 17 gol in 23 partite, massimo realizzatore della squadra. Gioca da centravanti, in una formazione che ha in campo gente come Piola, Boniperti ed Ermes Muccinelli. È una bella Juve quella allenata da Renato Cesarini, arriva seconda dietro solo al Grande Torino. Ma è lo stesso Cé a cambiargli il ruolo. Non più al centro dell’attacco, ma laterale. Astorri pensa, per via di tutti i gol che ha realizzato, di essersi meritato la posizione centrale e preferisce così proseguire la carriera altrove. Continua a segnare prima con l’Atalanta e poi con il Napoli.
Stefan Astorri è uno dei due figli maschi avuti da Mario con la bella sposa danese. Oggi fa il medico in un ambulatorio nei pressi di Copenaghen, la sua città. Da lì è felice di parlare del padre, morto nella capitale danese nel 1989.
«Non ho mai sentito uscire dalla bocca di mio papà – racconta – giudizi negativi su nessun allenatore. Neanche su Cesarini. La Juventus ha sempre avuto un posto speciale nel suo cuore».
Con i bianconeri i rapporti sono sempre rimasti ottimi. Karl Age Praest, due scudetti con la Juve negli anni 50, è stato un suo grandissimo amico.
«Una volta alla settimana giocavano a tennis insieme ed era uno spasso vederli. Ridevano in continuazione».
Ottimi amici gli erano rimasti anche a Mestre. Uno di questi si chiamava Attilio Pittarello, campione italiano dei 110 ostacoli nel 1942. Si erano conosciuti negli anni della Mestrina. I due di frequente si scrivevano cartoline oppure si telefonavano per ricordare i vecchi tempi in Veneto.
«Mio padre – dice Stefan Astorri – si sentiva italiano al 110 percento e gli sarebbe tanto piaciuto ritornare a vivere nella nazione in cui era nato. Aveva avuto delle proposte dal Como e anche per allenare le giovanili della Juve, ma mia madre non voleva lasciare la Danimarca. Dell’Italia diceva sempre che era il Paese più bello al mondo, ma impossibile da capire. Leggendo i giornali italiani, intuisco che probabilmente è così anche ora».
Dopo essere stato in odore di nazionale, il “Mago italiano” negli anni 70 si siede sulla panchina del KB, allora un club molto prestigioso. Qui vince un altro scudetto, il secondo della sua carriera. Allena Finn Laudrup in prima squadra, mentre il figlio Michael gioca nelle giovanili. Il padre è un buon giocatore, ma è il ragazzino a essere un fenomeno. Chiama allora il suo amico Boniperti per consigliargli il giocatorino, che nel frattempo ha esordito in prima squadra ed è passato al Brondby.
Boniperti manda a visionarlo Cestmir Vycpalek, lo zio materno di Zeman, che nel 1946-47 giocava nella loro stessa Juventus. Al cecoslovacco basta poco per riconoscerne la classe innata e dà il suo assenso. Nel 1983 le negoziazioni e la firma del contratto avvengono proprio nel salotto di casa Astorri. Presenti il diciannovenne calciatore, il padre Finn, il manager del Brondby Per Bjerregard e la coppia Boniperti-Vycpalek. A sbirciare dalla cucina i due figli di Astorri. Sempre alla Juve segnala Preben Elkjaer Larsen, centravanti della Nazionale danese che gioca in Belgio e non si è ancora fatto conoscere al grande pubblico all’Europeo 1984 in Francia. La dirigenza fa altre scelte, Elkjaer va a Verona dove vince uno storico scudetto e per due anni si piazza sul podio del Pallone d’Oro.
Stefan Astorri oggi nel suo ambulatorio conserva appese al muro delle foto del papà. Catturano l’attenzione dei pazienti seduti di fronte a lui.
«Mi capita spesso di parlare con loro di calcio. Per un po’ si dimenticano pure dei loro problemi. Ne ho uno in cura, italiano ovviamente, che ricorda di avere visto mio papà dal vivo giocare nel Napoli».