Gli eroi in bianconero: Leonardo BONUCCI

Sette anni in bianconero, sette anni da narrare l’uno all’altro per Leonardo Bonucci, detto semplicemente Leo. Approda sulle rive del Po nell’estate del 2010, proveniente dal Bari: nel capoluogo pugliese ha formato con Ranocchia una solida e affiatatissima coppia difensiva che, presto, emerge come miglior duo del campionato. Ma è proprio il futuro interista che si attira le maggiori attenzioni degli addetti ai lavori e l’arrivo di Leo a Torino è visto con diffidenza dal supporter juventino.
«Ho iniziato in una società dilettantistica – racconta – il Pianoscarano, poi sono passato alla Viterbese. Giocavo centrocampista centrale ed esterno, per un po’ ho anche fatto la punta. La svolta è arrivata l’anno della Berretti. Il mio allenatore era Carlo Perrone, ex giocatore di Lazio e Roma: il mio grande maestro, l’uomo che mi ha insegnato a stare più tranquillo in campo, senza strafare. Inoltre ha visto in me le caratteristiche del difensore centrale e questa è stata la mia fortuna. Nell’ultimo anno a Viterbo ho sfiorato l’esordio in C2. Poi sono passato all’Inter dove ho giocato due stagioni con la Primavera e ho esordito in Serie A. Il salto nei professionisti c’è stato a Treviso dove sono rimasto una stagione e mezza con mister Pillon, prima di trasferirmi a Pisa, dove ho conosciuto Giampiero Ventura, che mi ha fatto giocare tutte le partite e che poi mi ha voluto a Bari. Lo scorso campionato è stato incredibile, non ho saltato un solo minuto, nonostante abbia giocato le ultime diciotto partite in diffida. E ora sono qui per continuare a crescere. È l’inizio di una nuova entusiasmante avventura. Un punto di partenza per la mia carriera. Ma anche la realizzazione di un sogno che avevo fin da piccolo: sono sempre stato tifoso della Juventus, una sorta di “pecora nera” in una famiglia di interisti. Nella mia camera c’era il poster di Del Piero e una foto che mi avevano scattato insieme a Peruzzi. Del Piero, da idolo a compagno di squadra, mi ha fatto davvero effetto. Alessandro si è subito dimostrato un ragazzo tranquillo, simpatico e soprattutto umile. Lui, insieme a Zidane, è stato uno dei miei modelli quando, da ragazzo, giocavo in posizioni più offensive».
«Leo – scrive Sandro Scarpa su juventibus.com, il 24 novembre 2016 – entra nel romanzo decadentista della Vecchia Signora, senza appeal e senza gloria. Ai nuovi boss, Marotta e Paratici, l’idea Bonucci balena in un ennesimo surreale groviglio: devono liberarsi della metà di Criscito e sbarazzarsi di Almirón, parcheggiato proprio a Bari. Un vortice rutilante di scambi ed ecco arrivare Leo, “il meno bravo dei due”. Inizia così il romanzo horror: Leo è in una difesa zombie composta da Motta, Grygera, Traoré, Legrottaglie, Sørensen, Grosso, Rinaudo e De Ceglie con davanti Melo e Aquilani. Paura, eh? Lui e Chiellini vengono morsi dalla vampiresca spirale delneriana e la Juve viene sepolta viva da quarantasette reti. A gennaio arriva dal Wolfsburg per quindici casse di rhum anche Barzagli, e il trio comincia un lungo sodalizio dentro e fuori dal campo che li porterà poi a raccontarsi, intorno a un camino, storie di terrore come i cross di De Ceglie e le diagonali di Motta. In estate altra sliding door narrativa: la Juve punta Bruno Alves, in Russia con Criscito e Spalletti, che in cambio chiede Leo e Pepe. Potrebbe essere l’inizio di un romanzo russo, ma lo scambio salta e Bonucci diventa il soldato LeonardoBi, alter–ego immaginario, come in un poema epico.
Se nel primo anno “un misto di supponenza e poca concentrazione” lo porta a cadere nelle proverbiali “bonucciate”, ora due figure da Pigmalione plasmano caratterialmente il nuovo Bonni che scende a patti col Diavolo Conte e il numero satanico 3–5–2 e viene forgiato mentalmente dal Motivatore con mentine all’aglio e sevizie psicologiche. Leo diventa cattivo, concentrato e spietato come il reduce di un romanzo bellico post Vietnam e comincia a non commettere più errori, a spingersi più avanti, a tenere palla al piede più spesso. È l’ora del riscatto: con Conte e come il Conte di Montecristo, Leo diventa un pilastro della BBC e scrive il romanzo della terza stella, iniziando l’epopea di una difesa da leggenda. È il trionfo, Bonni è oramai un difensore completo e si gode lo scudetto, ma come nelle favole arriva l’implacabile nemico a mettere a repentaglio la vita dell’eroe. Alcuni loschi figuri di Scommessopoli, per avere sconti di pena, tirano dentro il nostro Leo.
Palazzi chiede tre anni e sei mesi sia in primo grado sia in appello. È una tragicommedia avvolta in un legal–trhiller. Zero prove, accuse ridicole, eppure in tanti, nella tagliola della giustizia, patteggiano per evitare la fine di una carriera. Bonni no, come Pepe (anche lui scampato alla deportazione russa), non scende a patti e va a processo. Pensateci, tre anni e sei mesi a partire da settembre 2012, con fine pena a febbraio 2016, magari per ricominciare dalla Viterbese o dal Bari...
È l’ennesima svolta psicologica. Ciò che non ti uccide ti fortifica. Bonucci, come i bianconeri eroi del Mondiale 2006, quell’estate “non dovrebbe giocare Euro 2012”, secondo giornalisti da operette morali. Per la stampa è un criminale, feccia da cui ripulire il calcio. Bonni, Cassano e Balotelli sono i Bastardi senza Gloria della Nazionale che arriverà poi in finale con la Spagna. Ancora una volta, come figura ricorrenti di un romanzo, a rimetterci è Criscito, escluso ingiustamente da quegli Europei. La Juve non lo molla ma anzi gli consegna un’emblematica fascia di capitano in un’amichevole estiva contro il Benfica. Bonni viene assolto. Da quel momento Bonucci diventa un idolo per il popolo bianconero e l’incarnazione del male per gli altri. Arrogante, indisponente, implacabile e impunito con la Juve, deconcentrato e brocco a volte in Nazionale, come in Brasile. È quello che esulta in modo volgare, che umilia rivali e tifoserie invitandoli a sciacquarsi la bocca (esultanza frutto di scherzi con gli amici, come a dire «Visto, non sono un bidone!»). È quello che schernisce gli avversari («Noi siamo in Champions, il Napoli in Europa League!»). È il bullo spericolato che affronta un rapinatore che minaccia la sua famiglia. È l’uomo più odiato della squadra più odiata. È quello del pasticciaccio brutto di Rocchi in Juve–Roma.
L’odio nei suoi confronti lo fa bollare come rozzo e limitato, eppure viene esaltato dal migliore romanziere–esteta del calcio attuale, Guardiola, che dice di lui: «È da sempre uno dei miei calciatori preferiti». Il culmine di questo romanzo criminale Bonucci lo raggiunge con la testata (per alcuni sono le testate) a Rizzoli. In quell’occasione la natura criminale di Bonucci si fonde con poteri da supereroe fantasy: un’onda energetica parte dal suo capoccione per colpire violentemente, ma senza contatto, l’arbitro bolognese. E arriviamo al presente. Dopo la parentesi (speriamo chiusa per sempre) di un breve dramma familiare che sembra oramai risolto, Bonni si attira finalmente stima e solidarietà anche delle altre tifoserie. Le sue lacrime in TV lo rendono un eroe vulnerabile, e dopo il nuovo poemetto epico degli Europei francesi, chiuso sul più bello dai rigori di Zaza e Pellè (i quali diventano i nuovi bersagli facili), anche i tifosi avversari ne riconoscono finalmente qualità calcistica e la forza caratteriale. Stimato da Conte e Pep, chiude e imposta alla Beckenbauer (paragone non più azzardato) e soprattutto è l’uomo dei goal decisivi. I tifosi della Juve hanno smesso di considerarlo quello “buono solo nel 3–5–2”, gli altri hanno smesso di odiarlo perché arrogante e scarso ma continuano a farlo perché è arrogante e forte».
La settima stagione a Torino, seppur globalmente positiva sul lato sportivo, è negativa su quello ambientale, col calciatore reo di comportamenti che a lungo andare logorano il rapporto sia col tecnico Allegri sia con lo spogliatoio: il 17 febbraio, infatti, nella netta vittoria per 4–1 contro il Palermo, un pubblico alterco a bordocampo con Allegri gli costa l’esclusione dalla successiva trasferta di Champions League contro il Porto (che seguirà malinconicamente seduto in tribuna su uno sgabello) prima avvisaglia dell’addìo che si consumerà a fine stagione.
Intanto, però, mette in bacheca la Coppa Italia e il sesto titolo italiano di fila: Leo, insieme ai compagni di squadra Barzagli, Buffon, Chiellini, Lichtsteiner e Marchisio, è per sei volte campione d’Italia. Il 3 giugno a Cardiff gioca la sua ultima partita in maglia juventina nella finale di Champions League, persa contro il Real Madrid. Il rapporto con il sodalizio torinese si interrompe bruscamente nell’estate 2017: al termine di una trattativa–lampo tra due storiche rivali che sorprende addetti ai lavori e tifosi, il 20 luglio il giocatore passa al Milan per 42 milioni di euro.