Gli eroi in bianconero: Dario BONETTI
Gli addetti ai lavori, tra i quali abbondano i saccenti, i competentoni, gli pseudo tecnici, i quali sanno tutto loro – scrive Vladimiro Caminiti su “Hurrà Juventus” del settembre 1989 – non hanno salutato come si deve la notizia dell’acquisto da parte della Juventus dello stopper Dario Bonetti, classe 1961, preciso: terzino, stopper. Al nostro scrivano sfuggono le ragioni di quest’accoglienza scettica, come se Boniperti avesse ingaggiato un pinco pallino, mentre si tratta di un difensore araldico. Ma tant’è, così va la vita, e per quel che si può, ripariamo in questa sede alle… dimenticanze.
Scrive Oscar Wilde che il peggiore difetto dell’uomo è la superficialità. Dario Bonetti ha una storia alle spalle ricca di vicissitudini. Lo abbiamo visto cresce e affermarsi: lo abbiamo seguito nella Sampdoria e nella Roma, nonché nel Milan, imparando a studiarne il carattere, lo stile «difficile», per tanto che non si intendono di caratteri, in realtà uno stile spontaneo. Dario è un bresciano di umili origini che gioca per vocazione. Nel calcio, come nella vita, è portato a esprimersi istintivamente. Lega con chi sa conquistarlo alla maniera che usano i saggi, i calciatori di professione sono naturalmente diffidenti, Dario non fa eccezione: «Boniperti mi ha chiamato perché voleva conoscermi. Gli ho detto che se mi avesse preso non se ne sarebbe pentito. Ho voglia di riscatto. A Milano e Verona le cose non mi sono andate bene. Non dico che siano stati quattro anni persi, ma certamente ho smarrito la strada maestra del successo, e le ragioni sono tante. Principalmente ragioni fisiche, ho sofferto di infortuni che mi hanno impedito di giocare regolarmente. Poi ho avuto quella disavventura di Milano. Difesi il mio maestro Liedholm, Liedholm uomo, da attacchi alla persona che non mi sembrarono giusti. La mia sembrò una ribellione. Non me ne sono mai pentito. A Liedholm debbo tutto come calciatore, e così gli espressi la mia riconoscenza».
In Italia si fa presto a mettere un’etichetta, a catalogare un calciatore. Ma Dario Bonetti respinge tutto al mittente. «Non credo di avere un brutto carattere. E sono convinto di prendermi delle grosse soddisfazioni alla Juventus, proprio perché la Juventus è una società dove, alla base di tutto, è il rispetto dell’uomo. Io ho bisogno di stimoli, io voglio tornare a vincere. Ho vissuto giorni bellissimi a Roma con Falcao e a Genova con Francis e Brady, e sono certo che questi giorni torneranno con una squadra come la Juventus che anela come me di vincere. Io so giocare difensore centrale, ma mi so adattare a più usi. Mi piace lottare e correre con tutti i miei compagni, mi piace dare tutto. Mi adeguo agli ordini di Zoff e giocherò come lui preferisce. So fare lo stopper e so fare il libero. Boniperti non si pentirà».
Dario Bonetti è un difensore salgariano. Lo rivedo nella Roma, traverso un campionato di gloria e una Coppa Campioni che consentì ai giallorossi di sfiorare il trionfo. Bonetti ebbe giocate stupende, fu continuo ed elettrico, le sue fiondate di piede e le sue scrollate, i suoi allunghi; difendeva e attaccava con slancio intrepido.
Non ho più visto, tra parentesi, una coppia di difensori così ben assortita come quella composta da lui e da Pietro Vierchowod. Giocatori differenti, se vogliamo, in Dario agilità e tocco di piede anche pulito, in Vierchowod una sbrecciante potenza.
Dario sa fare lo stopper centrale con dedizione e acume, ma sa anche sbrigliarsi sulle fasce e assumere compiti tattici speciali. La Juventus ha acquistato, ripeto, un difensore araldico, se ne vedranno delle belle, un difensore che sa tramutarsi in attaccante e castigare sulle parabole. «Non penso a sposarmi. Quando sento la nostalgia della famiglia volo a casa. Non credo che nella vita si possano fare bene due cose importanti, ogni cosa a suo tempo. Per ora voglio essere a tempo pieno calciatore. Io sono calciatore dalla testa ai piedi. Sento dire che siamo tutti dei mercenari, lo hanno fatto credere – a chi non ci conosce – episodi anche recenti. In realtà, noi calciatori nella maggioranza siamo dei bambini, giochiamo perché amiamo il calcio, io personalmente non credo che ci sia mestiere più bello, più ricco di gratificazioni a tutti i livelli».
In linea tecnica, Dario Bonetti non è inferiore a nessun altro stopper italiano, se non vogliamo dire d’Europa. In effetti le sue quotazioni sono discese precipitevolissimevolmente in concomitanza alle due presenze nella Nazionale di Vicini.
Il giocatore assolve alle incombenze del ruolo di stopper con una grossa fiducia nel destino. Mi spiego. Gioca da stopper all’inglese, marca senza ossessionare, sfida l’attaccante anche a far meglio di lui... all’attacco. Una squadra nasce da mille cose, un atteggiamento difensivo così spregiudicato può non legare perfettamente con le esigenze del reparto.
La nuova Juventus rilanciata a solari imprese, destina Dario Bonetti a essere se stesso al cento per cento, gli apre le traiettorie prelibate del gioco perché partecipi a fare quanto sa fare e a dare quanto sa dare. Nel calcio nostro, oggi, la confusione è massima. Tutti dicono e predicono, tutti pontificano, tutti sanno tutto di tutti. E invece no. Ogni giocatore «pro» è un delicato meccanismo. Non cambia niente nel costume dell’atleta se ha fatto del calcio la sua professione. Dario Bonetti ricomincia dopo due stagioni al Verona amare e deludenti non per colpa sua. E ricomincia convinto che non può farsi sfuggire l’occasione storica della sua carriera.
«Mi è bastato parlare con Boniperti, per capire il clima e calarmi in questa nuova maglia. Io conosco il mio valore, oggi sono nell’età giusta per non sbagliare più. Ma mi creda, ho avuto disavventure fisiche alla base di un rendimento che non e stato più negli ultimi quattro anni all’altezza delle prime sei stagioni in A. Mi piace sganciarmi, ma di più giocare con i compagni, all’unisono con loro. Si vince in undici, si perde in undici. Non penso più alla Nazionale, la mia Nazionale è la Juventus. Non potevo desiderare di meglio, in famiglia ne sono tutti felici».
Un altro Bonetti, Ivano, è brevemente passato alla Juventus (e uso l’avverbio limitativo al di là dei tre anni di permanenza, per le sole diciotto presenze e i due gol). È una razza di buoni calciatori. Dario rispetto a Ivano ha avuto in dono dalla natura questo suo fisico che lo porta a prestazioni eclettiche, è un atleta veloce quanto potente, agile quanto resistente.
Io predico a lui un gran destino bianconero se saprà ritornare lo stopper salgariano che vidi in Coppa dei Campioni con la maglia giallorossa della Roma. Di calciatori come lui, transfughi da un calcio romantico che tanto ha influenzato la Juventus, più che mai oggi si ha bisogno. Ne ha bisogno Zoff di un difensore tatticamente «ribelle» e tecnicamente completo, capace di difendere e di finalizzare l’azione. «Alla mia età è tempo di far fatti. Ho assaporato tante gioie senza potermele mai godere. Voglio vincere con la Juventus, che è la squadra più gloriosa. Mostrare a tutti chi è Dario Bonetti».
Come raccontato dal sommo Camin, Dario è un difensore molto dotato dal punto di vista fisico, ma di una lentezza esasperante. Le doti tecniche che possiede sono, in realtà, il suo maggior difetto, perché è solito voler uscire dall’area con la palla al piede causando, più volte, problemi alla squadra.
Stagione in chiaroscuro, nonostante Zoff lo schieri praticamente sempre da titolare come stopper o, all’occorrenza anche come libero. Conquista la Coppa Italia e la Coppa Uefa, con il grande rammarico di non aver potuto disputare la finale di ritorno della coppa europea, causa squalifica.
«Vedere i compagni che si allenano, che sgambano sul campo e contano le ore che li separano dalla gara di ritorno di Coppa Uefa, mi fa crescere dentro un’ansia incredibile. Un’ansia distruttiva, perché mi rendo conto di non potere fare nulla per il collettivo. Credetemi, chi sta soffrendo di più è proprio il sottoscritto. A tutto ciò si aggiunga il fatto che Zoff ha dovuto rivedere la formazione in funzione di un libero che non c’è. Voglio dire senza il sottoscritto, con Tricella non completamente recuperato e ancora in forse, e Fortunato ancora ingessato, il nostro allenatore sarà costretto con molta probabilità ad arretrare Aleinikov nel ruolo di battitore. Non voglia polemizzare e per questo evito commenti sull’arbitraggio della partita di andata. Dico soltanto che dopo innumerevoli scontri, spintoni, calci e gomitate un capro espiatorio ci voleva. Ho pagato per un fallo che da ammonizione non era; lo era piuttosto la situazione che si era venuta a creare. Sono entrato sulla palla davanti all’uomo, ma il giocatore fiorentino, non mi ricordo neppure chi fosse, ha simulato bene, accentuando la caduta. L’arbitro ci è cascato ed eccomi qua in borghese. Domani partirò con i miei compagni per Avellino. Me ne starò a bordo campo a soffrire. Pagherei qualunque cifra per scendere in campo in pantaloncini corti. Mi consolo pensando che questo periodo di riposo forzata mi servirà per curare la pubalgia che mi perseguita ormai da due mesi».
Nonostante le prestigiose vittorie, Zoff viene sostituito da Maifredi dal suo gioco champagne: la difesa bianconera fa acqua da tutte la parti, nonostante l’acquisto di Julio Cesar, e Bonetti è presto sostituito da Luppi o da De Marchi. Il difensore bresciano accusa il colpo.
«Mai come in questo periodo mi sono sentito criticato. E dire che di momenti difficili ne ho vissuti nella mia carriera. Se penso alle partite che hanno preceduto l’inizio del campionato, mi viene una grandissima rabbia. E non parliamo della Supercoppa contro il Napoli: una partita stregata, irripetibile. Per la Juve si è trattato di un incidente di percorso ma, per me, la punizione è stata tremenda: messo a digiuno a pane e acqua. La mia coscienza è a posto ma non il mio spirito, che scalpita nella speranza di un riscatto. Voglio recuperare in fretta il posto perduto».
Non sarà così e nell’estate del 1991, in coincidenza con il ritorno del Trap, lascia la Juventus, destinazione Verona, dopo 63 partite e 5 gol. Il suo è un addio al veleno.
«Dico soltanto che ho giocato pochissimo e non sono mai riuscito a disputare due partite di seguito. Ho avuto poche possibilità di mettermi in luce. I tifosi bianconeri devono giudicarmi per le gare disputate nella stagione 1989-90, quando vincemmo Coppa Italia e Coppa Uefa. Con Maifredi il rapporto sembrava inizialmente ottimo poi qualcosa si è rotto. È facile il colloquio tra allenatore e giocatore quando le cose vanno bene. È certamente più difficile attuare un comportamento del genere quando, invece, le cose non vanno per il verso giusto. Maifredi parlava tanto e a sproposito, non ha capito che la squadra era debole in ogni reparto, non adatta ai suoi schemi di gioco che si sono rivelati mediocri e perdenti. Ma se Maifredi ha le sue colpe, anche gli altri devono prendersi le loro brave responsabilità. Non faccio nomi ma a qualcuno piaceva essere particolarmente coccolato a tal punto che poi, nel momento cruciale della stagione che poteva dare una svolta al nostro campionato, si è comportato da vigliacco. Ha tradito tutti, dai suoi compagni, ai tifosi e ai dirigenti. È stata, comunque, un’esperienza positiva, perché ho potuto conoscere il volto peggiore del calcio».