Nesta torna sulla finale Champions del 2003: "Nessun ha dormito. Se perdi contro la Juve..."

25.03.2025 23:10 di  Redazione TuttoJuve  Twitter:    vedi letture
Nesta torna sulla finale Champions del 2003: "Nessun ha dormito. Se perdi contro la Juve..."
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Il tecnico del. Monza Alessandro Nesta, ha rilasciato una lunga intervista ad Amazon Prime Video, all'interno della rubrica 'Fenomeni'. Le sue parole riprese da Tmw: “Abitavamo in un quartiere molto periferico di Roma e molto romanista. Noi eravamo i Nesta, eravamo segnati perché eravamo della Lazio. Io giocavo nel Cinecittà che era affiliata alla Roma. Mi sono venuti a vedere e volevano che andassi. In famiglia eravamo tutti malati della Lazio, da mio padre a mio fratello. Io da sempre sono stato laziale, mi avrebbero menato sennò! La Lazio mi ha preso quando avevo otto anni, ho fatto tutta la trafila fino alla Primavera con Caso allenatore".

Prosegue Nesta: "Io giocavo attaccante, non arrivavo mai. In Primavera Caso mi ha messo terzino, che era uno scempio perché volevo crossare ma vedevo il fondo e non arrivavo mai (ride, ndr). Poi arriva Zeman che mi dice: ‘Tu fai il centrale’. Mi ha cambiato la vita. In partitella Gascoigne veniva carico, io ero ragazzino, avevo 16 anni. Nella gabbia, dove la palla non esce mai, mi aveva dato due ‘legnate’ e mi aveva fatto volare. C’era Zoff che mi diceva di andare piano. Poi un pallone rimasto lì, io sono andato forte su di lui e gli ho spaccato tutto. I tifosi mi hanno aspettato fuori, mio fratello mi aveva messo dietro e mi ha fatto uscire dal centro sportivo incappucciato. Poi ho avuto un buon rapporto con Gascoigne. Dopo sette mesi è tornato, avevo paura mi menasse! Invece mi ha regalato una canna da pesca con gli ami, anche se non ho mai pescato in vita, e un paio di scarpe. Ha aperto il cofano e quello che ha trovato mi ha dato (ride, ndr)”.

Prosegue ancora nei ricordi Nesta: “Il primo trofeo che ho vinto nella mia vita è la Coppa Italia con la Lazio. Erano trent’anni che non vincevamo niente. Io ero un bambino, segno e battiamo il Milan. Quello è stato il trofeo più bello in assoluto. Lì era già arrivato il presidente Cragnotti che aveva iniziato a investire forte. La finale di Supercoppa Europea? Nessuno aveva capito che eravamo così forti. Ma avevamo uno squadrone, con Veron, Nedved, ecc. Poi con il tempo se ne sono resi conto. Simeone si capiva che sarebbe diventato allenatore. Il Cholo era un martello, quindi sì. Sinisa no, e nemmeno Simone Inzaghi perché era attaccante (ride, ndr). Gli attaccanti pensano a loro stessi, quando sei allenatore invece devi pensare alla squadra”.

E ancora: "La partita contro la Roma mi ha cambiato la vita, da lì ho iniziato a mettere qualcosa di diverso quando giocavo. Tutti “bravo bravo”, poi ho preso la mia prima batosta. Li ho capito che il compitino non bastava e che bisognava mettere qualcos’altro per diventare un giocatore. Sapevo già che era il mio ultimo anno, erano otto mesi che non prendevo lo stipendio. Il club aveva imbarcato acqua, aveva tanti debiti e io venivo dal settore giovanile. Tutto quello che era plusvalenza e mi avrebbero venduto, un anno difficile. Pensavo all’Inter all’inizio, al Real Madrid l’anno prima ma avevo detto di no perché io giocavo nella Lazio. Avevo appena vinto lo scudetto, l’anno dopo la Roma e mai 'na gioia. Il problema è che sono andato via male, di questo sono dispiaciuto. Sarei rimasto a vita, come Totti alla Roma. Siamo cresciuti lì, poi negli anni nostri si guadagnava bene. Non avevamo voglia di andare via, stavamo bene a casa nostra. Poi c’è stato il tracollo. È stato un trauma, i primi mesi sono stati durissimi. La gente era molto attaccata a me, è stata una delusione per loro. Un po’ è cambiato anche il rapporto con i tifosi. Il sabato mi avevano convocato in sede per dirmi che me ne dovevo andare, l’ho presa male. Ero andato in difficoltà, mi sono pentito tanto di essere andato via al primo tempo. Non lo farei mai più, mi butterei nel fuoco. Per questo ho tirato un calcio di rigore alla finale di Champions League. Ero deluso da me stesso, ho fatto il ragazzino. Tutti a dirmi devi andare via, partita fatta male e ho pensato ‘sai che c’è, esco’. Me ne sono pentito. Mi ha fatto crescere, m’ha fatto bene”.

Che coppia con Maldini al Milan... Dice Nesta: “Ci avevo già giocato insieme in Nazionale, poi sono andato al Milan. È il più forte difensore in assoluto per qualità fisica e mentale. Sbagliava anche lui, pochissimo, ma quando sbagliava non lo intaccava per niente. Sempre sul pezzo, parlava poco. Il migliore del calcio mondiale. Mi ha insegnato la mentalità. Io venivo da Roma con il capello stirato, sandali e bermuda, lui mi ha insegnato come si stava al Milan. Aveva una forza… A 40 anni andava ancora come un treno. È stato il più forte, l’unica persona che quando incontro mi mette in imbarazzo. Perché? Non lo. Imbarazzo nel senso che è diverso dagli altri”. Ma il Milan come lo ha trovato? “Top mai visto. Puoi prendere qualsiasi casa che vuoi in affitto e loro ti pagano l’affitto. Dopo, se vuoi, ti portano al mobilificio e ti comprano tutti i mobili che vuoi. A mia moglie ho detto: “Non facciamo i romani…” (ride, ndr). Davvero devi pensare solo a giocare. All’inizio che mi sono staccato dalla Lazio stavo male, ma dopo che ho capito in che club ero mi sono tirato su le maniche. I primi quattro mesi ho fatto schifo. Prima partita a Modena, il mio esordio: ho fatto ridere. Poi sono partito, Paolo mi ha dato una mano. All’inizio non ero ancora pronto a staccarmi da Roma… Poi però ho cominciato e il primo anno sono stato fortunato perché abbiamo vinto la Champions”.

Al Milan ha giocato anche la finale di Champions League, contro la Juventus: “Nessuno ha dormito. Perché se perdi contro il Manchester United nessuno dice niente, ma se perdi contro la Juve… È stato molto teso anche Maldini, quando l’ho visto teso mi sono preoccupato. Io ero con Pirlo in camera, Andrea non si vedeva tanto che era teso. Ma era teso anche lui. Una partita tesa contro una squadra tesa, la Juve era rocciosa e tosta. Non era super bellissimo come giocava, ma ti venivano sempre addosso. Per me è stata una partita brutta. Nel primo tempo noi, nel secondo tempo loro… Poche occasioni, Buffon ha fatto una parata importante su Pippo, loro hanno preso traversa con Conte. E poi andiamo ai rigori…”.

Nesta racconta anche di quando ha deciso di lasciare il calcio: “Ho detto basta dopo che mi sono operato e prendevo due voltaren al giorno, ero fritto. Il corpo cominciava a dirmi basta. L’anno prima avevo fatto le due partite col Barcellona con Messi, le avevo portate a casa non so come. L’anno dopo mi dicevo che se avessi beccato un altro così mi avrebbe sfondato, quindi ho detto che era ora. Il Milan mi aveva proposto un altro anno di contratto, io ho detto di no. Io sono un difensore e devo correre dietro la gente e quindi me ne sono reso conto che era ora, gli attaccanti fanno più fatica a capirlo. Ho deciso quando ho capito che dovevo stare in campo per la mia mente, mi ha preso. La prima squadra che ho avuto era il Miami. Ero tesissimo, avevo fatto un macello. Devi pensare tutto il giorno, poi prendi il ritmo e inizi a capire ma devi studiare. Sono andato da Sarri, da Pioli e da altri. Qualcuno non mi ha fatto entrare. Serie B e A? La Serie A non ti perdona, la Serie B ogni tanto il colpo lo fai. Il primo esonero? A Frosinone. Ero sereno, mi ha chiamato il direttore sportivo. Non volevo più starci lì, facevo fatica a imporre il calcio. Era un po’ di mestiere".

Conclusione per Nesta sull'attualità e sull'esperienza alla guida del Monza: "La prima settimana l’ho sofferto un po’, però i punti erano pochi. L’ultima volta non me ne sono accorto, avevamo perso con la Juve. Col Lecce avevo detto al mio secondo ‘oggi ci seccano’ e invece, no. Oggi per me i giocatori sono più fragili, la maggior parte. Bisogna studiare la generazione nuova a livello mentale, noi siamo cresciuti a calci nel sedere. Adesso è meno, a Reggio Emilia avevo un gruppo vecchia scuola che ha trasmesso ai giovani quello stile. Se prendi uno spogliatoio più giovane è difficile. Se tornerei alla Lazio? Ci vado, ma a livello emotivo farei fatica. È una parte della mia famiglia. Ringrazio per essere andato al Milan, ma per me la Lazio è stata mio padre che mi portava allo stadio col panino. Mio fratello che andava in Curva. Allenare il Milan? Magari ce cascano. Vedremo”.