Il motivatore Ferrarini: "Dalla panchina al sogno ho trasformato Bonucci"

Il quotidiano La Tribuna di Treviso ha dedicato spazio al trevigiano Alberto Ferrarini ed al suo legame con Leonardo Bonucci, da riserva in provincia a punto fermo della Juve campione d'Italia:
Il "Lupo" prende Gigi Buffon per il collo: lo scuote come una palma, è in pieno raptus da vittoria. Ha appena fatto il passaggio a Mirko Vucinic che scaccia i fantasmi dal cielo di Trieste: la Juve fra poco più di un’ora sarà campione d’Italia. Quel lupo, meno di quattro anni fa, a Treviso era un coniglio bagnato, come avrebbe detto l’Avvocato. Poi è scattato qualcosa di “magico”, in profondo. E a trovare l’interruttore è stato Alberto Ferrarini.
C’è un pezzo di Treviso dietro lo scudetto della Signora. Un pezzo grosso così, perché se la Juve ha vinto è anche perché il Bonucci di quest’anno è un uomo nuovo. In continua crescita. A trasformarlo è stato Alberto Ferrarini, trevigiano di Cornuda. Nel suo sito e su Juve Channel, a caldo dopo la sbornia tricolore, Bonucci ringrazia proprio il suo “capitano” trevigiano. Professione: titolare delle autoscuole Lunardon. Ma con un talento particolare e raro quanto difficile da definire. “Motivatore” suona riduttivo. Meglio parlare per esempi: quando parò tre rigori in quella mitologica semifinale degli Europei del 2000 contro l’Olanda, Francesco Toldo gridò il nome "Alberto, Alberto, Alberto". Era stato lui a trasformarlo, a dargli la carica. E per Bonucci la folgorazione è stata ancora più grande. "Ho conosciuto Leo una sera all’Asha", racconta Alberto, "lui giocava qui a Treviso, anzi: stava in tribuna perché Gotti non lo faceva giocare, era il campionato di B del 2008/2009. Un’amica me lo ha presentato. Gli ha detto: “Leo, vuoi giocare in serie A? Questo è l’uomo che fa per te. Seguilo al 110% e ti cambierà la vita”. La settimana successiva, dopo l’ennesima tribuna, Leo è tornato da me. Mi ha detto: proviamo. Gli ho risposto: io sono nato in macchina e insegno a guidare, tu dimmi dove vuoi andare e io ti ci porto".
Ora Leo telefona ad Alberto prima di ogni partita. Lo chiama "capitano" e Alberto chiama lui "soldato". Domenica scorsa, a Trieste, era lì con lui. "Non sono un mental coach, né uno psicologo dello sport", dice Ferrarini, "il mio lavoro consiste nel rinforzare l’istinto di una persona, nell’insegnare a guidare ad alta velocità con regole precise: concentrazione, umiltà e crederci sempre. È stato proprio Toldo a farmi notare che avevo questo dono". Ma come funziona? Come si motiva un giocatore? Glielo chiediamo più volte, ma Alberto custodisce il segreto: sono cose che restano tra loro. Oggi segue - tra gli altri - anche Cristian Pasquato e il ciclista Alessandro Ballan. "Leonardo ha un carattere "pazzesco", dice Alberto, "è difficile trovare giocatori della sua età con una personalità così forte, compatta". Quest’anno, dopo lo svarione contro il Milan, Leo ha mostrato che queste non sono solo parole: poteva crollare, ma da lì in poi non ha praticamente più sbagliato un pallone. Leo e Alberto hanno lavorato "di brutto" da subito. Poi Bonucci è partito per Pisa, l’anno dopo è esploso a Bari.
Da lì il salto, sempre con Alberto a fianco: il mondiale con l’Italia di Lippi, il passaggio alla Juve. Bene l’inizio, poi la flessione: la squadra si squaglia, Leo non ringhia più. "Abbiamo litigato", racconta Alberto, "ti manca la fame, l’umiltà di Treviso, gli dissi. Abbiamo continuato a lavorare sodo, e con l’arrivo di Conte è ri-scattata la scintilla, anzi: quella scintilla è diventata un incendio. Quest’anno ho fatto una montagna di chilometri per stargli vicino. Dormivo nei ritiri. Se al Treviso, da uno a dieci, dava tre, oggi si avvicina al dieci. E l’obiettivo è di arrivare a dieci e di mettere il turbo. Sta per diventare uno dei tre difensori più forti d’Europa, ne sono certo. Il merito è suo, innanzitutto. Poi di Conte. Per terzo mi ci metto io".