Carnevali: "La Juve voleva Berardi in estate, interesse concreto. Locatelli? Lo abbiamo accontentato, l'Arsenal offriva più della Juve"
Giovanni Carnevali, amministratore delegato del Sassuolo, ha rilasciato una lunga intervista a Radio TV Serie A con RDS, all'interno del programma "Storie di Serie A", condotto da Alessandro Alciato.
Sulla passione per il calcio:
«Arriva da mio papà, un grande appassionato di calcio. Quando ero piccolo mi portava sempre a vedere l'Inter, era tifoso: così mi sono innamorato di questo sport, sognando di fare qualcosa di bello in tale ambito. Crescendo ho avuto la possibilità di giocare a calcio, giocavo alla Solbiatese Calcio, la passione cresceva e migliorava sempre di più la conoscenza del mondo calcistico. Poi, un giorno, ebbi l'opportunità di andare in un grande club, ma rinunciai per rimanere nella mia città. Io e mio padre acquistammo una squadra di dilettanti: erano gli anni Ottanta, la società si chiamava Milanese Calcio. È stato un grande percorso di conoscenza per capire come funziona questo sistema dalla base. Sono stati anni belli che mi hanno permesso di mettere in pratica anche le mie conoscenze e di costruire una società di dilettanti con una visione di un certo tipo, che in quegli anni era impensabile. Abbiamo vinto un campionato con la categoria dei giovanissimi, di 18 ragazzi sono riuscito a vederne 17: solo uno non aveva ricevuto l'interesse dei club, tutte le altre cessioni sono state fatte a club grandi, medi e piccoli. Questo mi ha anche permesso un giorno di incontrare Giuseppe Marotta, con cui è iniziato un nuovo tipo di rapporto. Il mio idolo? Mio papà tifava Inter, io simpatizzavo, amavo il calcio, ma non avevo idoli. Che Milano era quella della mia gioventù? Io amavo lo sport, per me c'era solo quella passione. Erano anni in cui c'era anche un po' di politica all'interno del nostro mondo, ma io ne sono sempre stato fuori. Anni in cui la passione per il gioco era forte: giocavamo ogni pomeriggio, organizzavamo partite ovunque e aspettavamo la domenica per seguire quelle vere. In quegli anni ho avuto una proposta da parte della Salernitana, ma rifiutai perché volevo cercare di fare qualcosa di diverso. Per me era gioco e divertimento, ero conscio dei miei limiti, sapevo dove sarei potuto arrivare come calciatore. Avevo 25 anni quando dissi no alla Salernitana: in quel periodo avevo gli studi da portare avanti e stavo bene con la mia famiglia. Tante cose non succedono per caso: rinunciai ad andare a Salerno e arrivò la proposta di acquistare una società con mio papà, è stato destino. In quella società io ero vicepresidente, mio padre presidente, ma quello che lavorava ero soprattutto io: in una società di dilettanti trovi tanti allenatori che lo fanno per passione. La mia fu una scelta diversa: cominciai a prendere allenatori e ragazzi giovani che conoscevo, presi un pullmino, un osservatore che visionasse i ragazzi negli oratori. Non ho mai avuto l'obiettivo di diventare dirigente: volevo capire il mio futuro. Ognuno di noi ha una famiglia che tramanda il proprio lavoro: i miei erano commercianti e sono nato all'interno dei loro negozi, ho assistito al percorso di crescita fino a vederli diventare imprenditori. Da loro ho imparato l'arte del commercio, i sacrifici che si devono fare. Avevo un negozio di elettronica, ho iniziato dai magazzini facendo consegne da ragazzo, diventando poi un venditore nel negozio: capivo che poteva diventare qualcosa di più».
Il rapporto con Giuseppe Marotta:
«Dall'acquisto della società in poi è stata una continua presa di coscienza delle difficoltà che ci possono essere: dai dilettanti si impara molto, è un mondo che mi affascina. Un giorno mi chiamò Giuseppe Marotta appena arrivato al Calcio Monza, aveva acquistato due ragazzi dalla nostra società. Andai a Monzello e con lui è nato subito un bel feeling, lo conoscevo come dirigente e lui mi conosceva come giocatore. Una delle prime cose che gli dissi fu: "dei due ragazzi che avete preso ce n'erano di più forti, ma è rimasto un giocatore che è il più bravo di tutti". Era il diciottesimo che nessuno aveva scelto, Marotta mi diede fiducia e lo prese. Io gli risposi: "Direttore, questo glielo regalo". Quel ragazzo fu poi l'unico ad arrivare in Serie A: Fabio Cinetti. Da lì è iniziato un rapporto di fiducia, è stato un maestro. C'è sempre stata grande stima, abbiamo lavorato insieme in diverse squadre. Ho imparato tanto da lui, dal punto di vista sportivo ma anche gestionale e di marketing. Il nostro è un rapporto di amicizia ma anche di litigi durante le trattative, perché poi ognuno fa gli interessi del proprio club. È capitato di litigare, parlando di giocatori ambiti da altre società per i quali si discuteva e non si riusciva a trovare un accordo. Se abbiamo mai litigato per Domenico Berardi? C'è stato un interesse per il giocatore quando Marotta era alla Juventus, avevamo trovato un accordo ma Berardi fece una scelta diversa: non fu una rinuncia ai bianconeri, ma una volontà di rimanere al Sassuolo provando a giocare per qualcosa di importante. Sono sempre felice se un giocatore importante rimane con noi, mi dispiace quando c'è una cessione perché sono giocatori a cui ci si lega. Tornare a lavorare con Marotta? Sarebbe fantastico lavorare insieme, può darsi, dipende da cosa farà lui in futuro. Mi piacerebbe, da lui c'è sempre da imparare. Marotta Presidente della FIGC? È un grande manager e un grande politico, potrebbe essere un ruolo perfetto per lui perché conosce le problematiche del nostro mondo. Lui ha tutte le capacità per ricoprire qualsiasi ruolo».
Su Domenico Berardi:
«A Sassuolo si sta bene, anche se ci sono cose positive e cose meno. Io penso che Domenico sia un ragazzo speciale, bisogna conoscerlo bene perché viene criticato su cose non corrette. Tante volte si va a criticare questi giocatori che sposano la propria maglia: lui nasce e cresce con noi, c'è un legame speciale con la società perché è la nostra bandiera. Negli anni qualcosa può cambiare, possono nascere diverse opportunità. La sua scelta è stata quella di continuare con noi nonostante le offerte negli anni: penso che questo sia un valore importante. Poi ci possono essere opportunità e può arrivare il momento, come quest'anno, di avere l'idea di cambiare squadra. Fa parte del percorso. Quest'estate lo voleva la Juventus, un interesse non concreto perché non siamo mai arrivati a una vera e propria trattativa. La Juventus aveva idee diverse, nella testa del giocatore c'era questo desiderio di provare a cambiare, ma non c'è stato niente che si poteva ottenere. Quanto vale Berardi? Vale tanto, chiaramente dipende dal momento. Può essere intorno ai 30 milioni, anche perché l'anno prima avevamo avuto un'offerta da un grande club italiano, ma avevamo scelto di andare avanti insieme. Lui è un top, sotto tanti aspetti».
Su Master Group Sport e il rapporto con la famiglia Squinzi:
«A un certo punto ho aperto la mia attività di marketing e organizzazione di eventi nell'ambito sportivo, Master Group Sport, che mi ha permesso di conoscere lo sport a 360 gradi, soprattutto in modo più imprenditoriale. Quest'attività è cresciuta, sono partito da solo, ma siamo cresciuti molto anche se purtroppo non ho più tempo per seguirla: ho la fortuna di avere collaboratori molto preparati. Io sono figlio del Sassuolo, Master Group Sport gestiva le sponsorship di Mapei. Conobbi la famiglia Squinzi in quegli anni, una famiglia straordinaria. Abbiamo avuto modo di conoscerci nel mondo del lavoro, ricordo che l'anno in cui il Sassuolo vinse la Serie B la Dottoressa Spazzoli, moglie del Dottor Squinzi, gestiva la comunicazione del colosso. La Dottoressa ci chiese un progetto marketing di quello che poteva diventare il Sassuolo, che è nato quasi più come progetto marketing che tecnico, una cosa abbastanza anomala. Furono molto entusiasti, in questo progetto c'era una visione ampia di quello che poteva diventare la società. Dopo poco la Dottoressa mi chiese se me la sentissi di prendere in mano il Sassuolo Calcio. Risposi di no, volevo dedicare tempo alla mia società. Si creò un bel rapporto, ero molto legato a loro e dopo un po' di insistenza decisi di andare a Sassuolo per vedere la società, volevo capirne l'organizzazione. Si allenavano nel vecchio stadio, gli uffici erano ancora lì. C'erano persone brave, semplici ma con tanta voglia di lavorare. Presi una decisione, quella di andare a Sassuolo, perché era una grande sfida. Conoscendo la famiglia sapevo come avrei lavorato, mi hanno permesso di fare tutto, di operare prendendo decisioni in autonomia. All'inizio ho avuto difficoltà: quando si trattava di comprare un giocatore spendendo denaro volevo avere il loro consenso, ma il Dottore era fantastico perché mi dava piena libertà. Questo mi ha permesso di lavorare in modo autonomo. Quando sono purtroppo mancati, abbiamo continuato a lavorare come facevamo prima. Oggi c'è la famiglia, ci sono i figli che stanno proseguendo il lavoro dei genitori. L'azienda può avere una visione diversa con tanti giovani, ora. Io mi sento veramente legato a questa famiglia: tante volte parlo del Dottor Squinzi al presente, perché lo sento sempre vicino a me. Sono persone di valore, di un'umiltà incredibile. Cosa mi manca di più? La telefonata del Dottore. Mi chiamava spesso la mattina, mi chiedeva sempre: "Giovanni, ma quando mi compra Messi?". Era un grande appassionato di sport, tifoso del Milan. Abbiamo ottenuto tante vittorie contro i rossoneri. Ricordo una partita vinta 4-3 con quattro gol di Berardi, fu una gioia immensa. Dopo il match il Dottor Squinzi entrò nello spogliatoio e disse a Domenico: "Ma dovevi farli tutti oggi?". Lì capivo che era ancora un po' troppo milanista, ma col passare del tempo il Sassuolo è diventata la sua squadra, la squadra del cuore. Quando battevamo l'Inter aggiungeva una targa nel suo ufficio, che gli veniva regalata dal nostro addetto agli arbitri, Remo Morini, che è una figura istituzionale del Sassuolo, una persona di famiglia. Ogni vittoria gli regalava questa targhetta, è iniziata con poche, ma poi ne sono arrivate diverse e speriamo di aggiungerne altre».
Sulle cessioni degli ultimi anni, tra cui Frattesi e Locatelli:
«Ci sono due calciatori a cui mi sento particolarmente legato, Davide Frattesi e Manuel Locatelli. Sono due ragazzi che ho cercato di accontentare nel momento della cessione. Il lato economico di una cessione è importante, ma non determinante. A esempio, Locatelli voleva andare assolutamente alla Juventus, noi lo abbiamo accontentato pur rinunciando sotto l'aspetto economico perché c'era l'interesse di un'altra società, l'Arsenal. Il soprannome "Scansuolo"? Non ci conoscono, tante volte si è pensato facessimo affari con la Juventus, ma non era così. A esempio, abbiamo fatto più trattative con la Roma che con altre squadre, abbiamo preso tanti giovani da loro. Era un detto iniziale come se ci fosse un legame particolare tra Sassuolo e Juventus, ma noi abbiamo la fortuna di avere un buon rapporto con tante società».
Su Roberto De Zerbi ed Eusebio Di Francesco:
«De Zerbi lo conosco da quando era ragazzino, giocava nei giovanissimi nel Milan. Il Sassuolo doveva cambiare allenatore e lui ci piaceva come allenatore. Arrigo Sacchi, con cui ho un ottimo rapporto, mi convinse che Roberto potesse essere l'allenatore giusto per noi e per il nostro tipo di gioco, che la società tenta di portare avanti da anni. È stato il miglior allenatore che abbiamo avuto? Io penso a Eusebio Di Francesco, con cui abbiamo avuto tanti anni importanti, arrivando anche in Europa League. Ma ogni allenatore ci ha aiutato, abbiamo fatto tantissimo in questi anni e la strada è sempre in salita. Europa League del 2016/17? Un miracolo sportivo. Nel nostro campionato devi essere bravo a stare dietro alle prime 7 della classifica, perché magari ti può capitare l'annata giusta in cui qualche top ha delle difficoltà. Se noi pensiamo al Sassuolo è stato un miracolo, cerchiamo di riprovarci ogni anno. Tifosi? Sassuolo è una piccola città di 40 mila abitanti, abbiamo quasi 7 mila abbonati, abbiamo tifosi vicino a noi. Abbiamo gli incassi più bassi perché la nostra politica è quella di avere dei prezzi bassi e accessibili per famiglie e bambini. Come si sopravvive così? Grazie a una grande proprietà, che vive la squadra di calcio come un'azienda: non si può pensare di avere perdite di 100 o 150 milioni. Questo succede a tanti club perché il calcio è un'azienda anomala e difficile. Noi puntiamo sui giovani, cercando di farli crescere e valorizzarli per poterli poi cedere, perché siamo costretti a farlo ogni anno».
Sulla stagione attuale del Sassuolo:
«Una stagione difficile, le motivazioni sono diverse, sarebbe troppo facile dire che abbiamo venduto molti giocatori e che quelli acquistati hanno reso meno. Avevamo ambizioni diverse, qualche errore l'abbiamo fatto noi come società, qualche colpa potrebbe averla il mister, così come i giocatori. Tutti assieme dobbiamo assumerci le nostre responsabilità sapendo che ogni anno c'è qualche squadra che si pensa possa ottenere qualcosa di diverso. Non siamo abituati a lottare, ma dovremmo farlo presto, spronando i giocatori. Credo che anche in questo mister Ballardini ci possa dare un aiuto. È una squadra molto unita, formata da bravi ragazzi, dobbiamo venirne fuori nel più breve tempo possibile. Esonero di Alessio Dionisi? Mi è costato tanto perché non siamo abituati, quando credi in un allenatore – e io credo che mister Dionisi abbia tutte le possibilità per fare l'allenatore a un livello alto – ti dispiace, anche perché conosci la persona, con cui c'è sempre stato un grande feeling. Le difficoltà bisogna superarle insieme, è troppo facile cambiare dopo poche partite. Non è bello e non è giusto, ma quando capisci che è necessario non c'è un'alternativa, anche se è una soluzione sofferente. Mister Ballardini? In queste situazioni ci può aiutare, ha grande esperienza. Lo sto conoscendo bene in questi giorni: è una persona di poche parole, ma concetti ben chiari e precisi, che è quello che occorre a noi in questo momento. Credo che ci possa dare una mano».
Giovanni Carnevali ha mai avuto offerte da altri club?
«Per me Sassuolo è un grande club, è chiaro che poi con il tempo potrà nascere qualcos'altro. È vero che ho avuto delle richieste, ma le ho ricevute nel momento in cui il Dottor e la Dottoressa Squinzi non stavano bene. Onestamente non mi sono sentito di prenderle in considerazione, per me non poteva essere accettabile, pensavo che sarebbe stata una pugnalata per loro. Chi mi voleva tra Juve, Milan o Inter? Potrebbe essere una di queste tre, per non dire una bugia non si dice nulla. Favola finita a Sassuolo? È impossibile che questa favola possa finire, Sassuolo è una società che in questi anni ha lavorato sempre guardando il risultato, ma anche facendo crescere una squadra di calcio: il progetto Sassuolo va avanti. La società ha uno stadio di proprietà, ha fatto un grande sforzo nell'acquistarlo e nell'abbellirlo, oltre che aver creato un centro sportivo dove si allena la prima squadra maschile, quella femminile e anche tutti i ragazzini. Sono state realizzate tante belle cose, parliamo di una società che oggi è gestita da persone che hanno tante competenze e una grande voglia di fare bene. Chiaro che il risultato sportivo conta, ma i momenti di difficoltà li hanno passati tutti. Non possiamo fermarci ma dobbiamo avere lo stesso pensiero che aveva il Dottor Squinzi: "Mai smettere di pedalare"».