Sotto la lente - Tempo di crolli

Non volevo parlare di Calciopoli stavolta, ma la sentenza della V sezione della Cassazione che scrive la parola fine della sentenza Gea è troppo significativa per essere sottaciuta.
Ancora non è stato reso disponibile il dispositivo della sentenza, e ovviamente mancano le motivazioni. Senza questi elementi avere un'idea precisa al 100% della situazione è impossibile.
Non ci interessano i soliti giochini di parole dei media, che peraltro hanno relegato la vicenda nelle pagine interne (pag.16 la Gazzetta dello Sport, pag.12 il Corriere dello Sport); ben diversamente, e in modo decisamente più fuorviante, era successo dopo il processo di Appello, con i titoloni "Per i Moggi condanne pure in Appello" come strillo in prima pagina, e ampio spazio all'interno, trascurando però la cosa principale, che le condanne residue, annullate ora dalla pronuncia della Cassazione, erano relative solo alla violenza privata, essendo crollata, e tale rimane la situazione definitiva dopo il terzo grado, la tesi della cupola.
Solo un inciso per dire che la faccenda della violenza privata, relativa al caso di Emanuele Blasi (che sarebbe stato costretto a non servirsi più dell'Antonelli quale procuratore pena il mancato adeguamento stipendiale) appariva quanto meno risibile. Questo sia per le spiegazioni offerte dallo stesso Moggi ("il giocatore Blasi, in prestito al Parma, ritorna al termine della stagione (giugno) alla Juve dopo aver scontato una squalifica di sei mesi per doping. A luglio ricominciano gli allenamenti e dopo pochi giorni mi sento chiamare dal procuratore del giocatore che mi chiede un prolungamento del contratto e un aumento. Rispondo che al momento non voglio parlare di certe cose visto il passato del giocatore e al giocatore stesso dico di non farmi chiamare dal procuratore, di dimostrare invece il suo valore dopo di che nulla in contrario a prolungare e concedere l’aumento. Blasi in quel campionato giocò 27 partite riconquistando anche il posto in Nazionale, per cui gli fu aumentato lo stipendio e prolungato il contratto, come d’altra parte promesso. Risposta secondo logica e regole d’uso, qualunque altro manager avrebbe detto la stessa cosa, soprattutto nell’incertezza del rendimento dell’atleta stesso, per l’accusa però fu violenza privata", su Libero 30.11.2012) sia per quelle offerte dalla stesso Blasi: "Le pressioni da parte della Gea - ha detto il giocatore proprio nel corso del processo Gea, quindi sotto giuramento - sono tutte mie invenzioni. Ho pensato che fosse l’unico modo per liberarmi di Antonelli, con cui non avrei mai rinnovato il contratto con la Juve. In realtà, io non ero contento del suo lavoro e avevo preso contatti con Davide Lippi dicendogli che avrei dato a lui la procura se mi avesse consentito di rinnovare con la Juve a cifre maggiori".
Ma, a prescindere da ciò, il processo Gea era servito da architrave su cui costruire poi quella cupola che a Napoli ha poi portato proprio all'imputazione per associazione a delinquere. La genesi di Calciopoli parte dunque proprio dalla Gea, dalla vicenda delle procure sportive. Da lì sono partiti tutti i filoni d’inchiesta. Ne fa fede la prima informativa di Auricchio, quella dell'aprile 2005, che all'inizio del capitolo 5 così recita: "Le indagini hanno portato all’acquisizione di ulteriori elementi che integrano quelli già segnalati nella nota del 18 settembre scorso, circa lo strumento operativo utilizzato da Luciano Moggi per condizionare le economie calcistiche, costituito dalla GEA World S.p.A., società che lo stesso controlla avvalendosi a tal fine del figlio Alessandro e di Franco Zavaglia. Infatti la Gea rappresenta uno dei fulcri principali che consentono al direttore generale bianconero di controllare il mercato atletico, e non solo, proprio in virtù della forza che gli deriva dalla forza economico-commerciale conseguente alla gestione di una simile impresa".
Invece la cupola non è mai esistita, solo chiacchiere e maldicenze, come quelle dell'uomo del ribaltone, Franco Baldini, un altro degli strampalati suggeritori di Auricchio.
Così, partendo dalla bufala della Gea, è stata edificata quella cupola che a Napoli ha mostrato tutta la sua fragilità, sgretolandosi pezzo dopo pezzo, ad ogni intercettazione che veniva disseppellita. E alla fine è rimasta in piedi solo nei disegnini di Di Laroni. Tanto è bastato, in un tribunale che la vicenda delle ricusazioni della Casoria ci ha mostrato di quali veleni sia intriso, per arrivare a una condanna che mortifica, umilia e smentisce quanto emerso dal dibattimento; e anche qui toccherà alla Cassazione dire l'ultima parola.
Una sola cosa, tra quelle dette in tutto l'affare Gea, era vera: Moggi era sì il re del mercato, ma non perché lo controllasse con metodi disdicevoli di cui si è a vanvera parlato lo era perché era il più in gamba, capiva di calcio ed sapeva muoversi in un mondo popolato di squali dall'udito molto fine, e per di più abilmente potenziato.
E ha lasciato una Società sana, che poi i liquidatori hanno provato a smontare con tutte le loro forze. Ma non i danni di Calciopoli (che i responsabili sono già stati chiamati a risarcire) non la malagestione del post 2006 sono riusciti a mettere al tappeto. Il pugno è stato forte e tirato proditoriamente, ma gambe e cuore erano sani e la Juventus si è rialzata: ha perso tanti anni e tanti campioni ma, a distanza di otto anni, gioca in quello stadio che era stato concepito ai tempi della Triade e minaccia di recitare per anni quel ruolo di regina che il campo le aveva decretato.
Sono crollate invece le due contendenti milanesi, che nel 2006 avevano mostrato orecchie e mani lunghe e corazze d'acciaio, ma che nel 2014 hanno mostrato che i piedi erano in realtà di friabile argilla.
Gli indossatori dello scudetto di merda e cartone, affogati nei debiti di chi ha vissuto per anni pericolosamente al di sopra delle proprie possibilità, sono finiti nelle mani di un lontano tycoon, che guida la claque di indonesiani festanti per un pareggio contro il Chievo, e che dice chiaro e tondo che si mettano tutti il cuore in pace per qualche anno, occorrerà risanare l'impresa prima di progettare alcunché: il club è diventato un asset.
E colui che non dorme mai ormai assiste dalla tribuna a spettacoli inguardabili, bacchettato dalla figlia del padrone e costretto ad aggrapparsi alle vecchie glorie e a rincorrere parametri zero: quando sarà troppo triste potrà sempre rivedere nel suo cellulare quel goal di Muntari....
Tempo di crolli, dunque, perché se le basi sono fasulle il tracollo prima o poi arriva.
Manca ancora un crollo, quello dei palazzi del potere: ma arriverà anche quello, tranquilli. Per ora si sostengono a vicenda ma prima o poi qualcuno inciamperà e cadrà e allora.... simul stabunt vel simul cadent.