Sotto la lente - Per ristabilire la verità di Calciopoli...

27 maggio ore 14.
Tribunale di Milano.
Causa Facchetti-Moggi: per diffamazione.
Gianfelice Facchetti, lo si apprende dalle colonne della Gazzetta, vi invita Javier Zanetti: "Vedrai che cominceremo a ristabilire un po' dì verità".
Per carità, è quello che vogliamo tutti, da otto anni.
Premetto: in sé, nella sua genesi, questo è un procedimento assolutamente privato.
I fatti: nella trasmissione 'Notti magiche', condotta da Criscitiello su Sportitalia, il 23 ottobre 2010, Moggi aveva raccontato di aver bacchettato Javier Zanetti, facendogli presente come le colpe dei dirigenti nerazzurri fossero molto superiori a quelle che avevano determinato le condanne a suo carico, facendo riferimento a "quello che emerge dal processo di Napoli e che emergerà ancora, le telefonate del tuo ex presidente che riguardano le griglie e la richiesta a un arbitro di vincere la partita di Coppa Italia con il Cagliari, e l'arbitro era Bertini. Ci sono le telefonate intercettate sue, le telefonate di Moratti e la telefonata di imbarazzo di Bertini, i pedinamenti e le intercettazioni illegali, anche i passaporti falsi e quindi sta' zitto Zanetti, è meglio per te ed è meglio per l'Inter".
Questa affermazione aveva irritato Gianfelice, figlio del defunto Giacinto Facchetti, il quale aveva giudicato tali affermazioni lesive della reputazione del padre.
Da qui la querela e il rinvio a giudizio, ottenuto dal pm Elio Ramondini lo scorso novembre.
E il 27 maggio le parti si sono ritrovate in Tribunale.
Anche se la vicenda è processualmente slegata dal processo penale di Calciopoli, essa tuttavia, proprio per il contenuto delle dichiarazioni oggetto di querela, risulta funzionale a portare sotto i riflettori, e in un Tribunale della Repubblica, quanto non è stato avvalorato dal tribunale di Napoli: cioè le prove fornite dalle intercettazioni sparite; e, nonostante nella sentenza di primo grado a Napoli fosse stato riconosciuto che si era badato solo a correr dietro ai misfatti di Moggi, nessuno si è mai fatto carico dello scandalo di indagini a senso unico, né di un pm che sosteneva che non vi erano telefonate con i dirigenti interisti e di altri club, senza peraltro ottemperare al dettato dell'art. 358 c.p.p. che impone al pm di svolgere anche accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini: quanto emerso in ogni caso sarebbe stato già più che sufficiente per demolire alla base e smantellare completamente quell'esclusività dei rapporti che ha fatto di Moggi addirittura il vertice di un'associazione a delinquere.
Sì, perché l'importanza di questo procedimento sta nel fatto che si è ottenuto che vengano ammesse sia le intercettazioni che riguardavano Facchetti (utili a provare che le parole di Luciano Moggi erano suffragate da fatti), sia il documento redatto dal procuratore federale Palazzi che riteneva l'Inter meritevole di deferimento per illecito sportivo: che poi taale documento non abbia generato per l'Inter (e per i suoi dirigenti) le gravissime conseguenze che ne avrebbero dovuto derivare (se pensiamo alla retrocessione di una Juventus senza illeciti) ciò è dovuto solo al fatto che sia intervenuta (oh prodigio! Quasi quanto quello di uno scudetto vinto dopo essere arrivati 15 punti sotto la prima in un campionato mai sotto inchiesta) una tempestivamente provvidenziale e salvifica prescrizione.
Sono stati inoltre ammessi i testimoni che possono far luce su queste vicende, da Bergamo e Mazzei (interlocutori di Facchetti nelle telefonate che non c'erano) a De Santis (vittima di un'odiosa opera di intelligence della security Telecom-Pirelli; e non certo perché non pagasse le bollette del telefono o per la scelta dei suoi pneumatici, ma perché, disse Moratti a Sabelli Fioretti, "un tizio si offrì di farlo").
Vediamo ora qualche chicca di quelle che la difesa di Moggi farà ascoltare.
25 novembre 2004, ore 18: mancano tre giorni ad Inter-Juve e Facchetti, non solo viene già a conoscenza, il giorno precedente le designazioni, dei nomi degli assistenti (Ivaldi e Pisacreta; ricordiamo che a Moggi fu addebitato, a torto, di conoscerle una mezz'ora prima), ma addirittura, per la voglia matta di avere il numero uno, Collina, si spinge sino a proporre di forzare il sorteggio (altro che palline ammaccate...) inserendo nelle famose griglie chi poi non avrebbe potuto dirigere (Rosetti perché torinese, De Santis per avere appena arbitrato la Juve).
26 novembre, ore 10: stavolta gli interlocutori sono Facchetti e il designatore, ma l'argomento è sempre lo stesso.
E' la famosa telefonata del 'metti... Collina', dove la questione sorta su chi avesse detto Collina è solo un sofisma, perché è chiaro che a volere Collina era l'Inter (l'ambiente Inter ne aveva auspicato già nei giorni precedenti, sui media, la designazione); Bergamo sostiene che fu l'altro e comunque gli verrà chiesto.
Tra l'altro Collina non venne designato, toccò a Rodomonti e ricordiamo lo spavento di Carraro all'idea che il malcapitato potesse, inavvertitamente, favorire la Juve; e a Bergamo toccò ammaestrarlo, ricordandogli che poteva giocarsi la carriera se non avesse pensato a chi stava dietro (toh... l'Inter).
11 maggio 2005, il giorno prima di Cagliari-Inter, semifinale di Coppa Italia: il colloquio è tra il designatore Bergamo e Facchetti, che gli comunica che lo score di Bertini con l'Inter è di 4 (vittorie)-4 (pareggi)-4 (sconfitte) e che occorre assolutamente smuovere la casella delle vittorie (Facchetti: "Mi raccomando, diglielo"; Bergamo: "Sta' tranquillo, sarà fatto. Ti abbraccio").
Ma non finisce qui, perché la figura di Facchetti si staglierà a forti tinte nel colloquio post partita tra lo stesso Bergamo e Bertini che riferisce al designatore come Facchetti, prima della gara, abbia personalmente 'allenato' la terna arbitrale, proponendo anche in quel caso la teoria dello score da smuovere con modalità che hanno notevolmente imbarazzato i tre che poi avrebbero dovuto dirigere l'incontro.
Questi sono elementi concreti che emergono dalle telefonate.
E Moggi ha ben donde nel pensare di essere stato lapidato per telefonate dal contenuto infinitamente meno grave di queste, peccato fossero state occultate. E per trovare telefonate altrettanto gravi hanno dovuto ricorrere all'immaginazione, costruendo con la fantasia quello che avrebbe potuto essere il portato delle schede svizzere; con tutte le magagne del caso: già, perché la loro attribuzione è rimasta affidata solo agli schemini manuali dell'olio di gomito di Di Laroni; eppure avrebbero potuto essere intercettate: anzi, in realtà lo furono, ma non dicevano nulla... E allora.... via di olio di gomito e fantasia...
E i testimoni saranno molto più probanti dei quattro amici al bar considerati fondamentali dai giudici dell'appello per fondare il reato associativo: Fabio Monti (che riferì "commenti, considerazioni e interpretazione degli eventi", come riferitigli, ai tempi, proprio dal defunto Facchetti), Nucini (serve aggiungere altro per un personaggio che ha accavallato una versione sopra l'altra? Due sono le sole certezze: aveva rapporti diretti con Facchetti; e andò dalla Boccassini, che però si tiene ben stretto e sotto chiave il fascicolo mod. 45 con tutti i suoi inconfessabili segreti), Cellino (che parlò di sensazioni e segnali che ti fanno diventare sospettoso; se non fosse che anche dopo quella gara di Coppa Italia arbitrata dal 'preparato' Bertini, dalle dichiarazioni post gara si evince che sospetti ne ebbe, eccome) e infine Babini (assistente della scuderia Meani, che ammette la sua antipatia per la Juve; e che e interlocutore di Meani stesso in un'intercettazione relativa al meccanismo bandierina su-bandierina giù).
Dunque, siccome credo fermamente che ristabilire la verità, tutta la verità, debba stare a cuore a tutti, attendiamo con interesse le prossime tappe di questa vicenda: se ne riparlerà il 5 novembre.