Gli eroi in bianconero: Antonio CONTE
Inizia nella Juventina, una squadretta di Lecce, sognando Tardelli e la Juventus. A lanciarlo in serie A è Eugenio Fascetti, allenatore spigoloso ma vero, con un breve passato juventino, che negli anni ottanta allena un Lecce sempre invischiato nella lotta per la salvezza. Conte ha diciassette anni e disputa un paio di partite sul finire di stagione. È l’anno del 22° scudetto bianconero e, proprio il Lecce, espugnò lo stadio Olimpico con un clamoroso 3-2 sulla Roma, che in pratica consegnò lo scudetto alla Juventus.
In serie B e poi ancora in serie A, con il Lecce passato sotto la guida di Mazzone, Conte si segnala come uno dei più forti centrocampisti della nuova generazione, che s’affacciano al calcio degli anni novanta.
Ma proprio quando i grandi club si interessano a lui, un gravissimo infortunio ne blocca l’attività: la frattura di tibia e perone mette in pericolo la carriera e rischia di cancellare per sempre i sogni del ragazzo di Lecce. «Purtroppo è vero», racconta, «mi fratturai la tibia della gamba destra, giocavo nel Lecce. Fu un lungo e doloroso recupero».
Il recupero fu travagliato ma completo; nel 1988/89, a poco più di un anno dall’infortunio, disputa, sempre con la maglia giallorossa, diciannove partite. Merito dei medici, ma anche di un carattere forte e della ferrea volontà che Antonio mette, per vincere la partita contro la sfortuna. Le stagioni successive segnano il costante progresso di questo giocatore ormai diventato l’idolo dei tifosi leccesi.
La Juventus lo acquista nel 1991, in autunno. Trapattoni cerca un mediano, un incontrista capace anche di impostare il gioco, come Furino prima e Bonini dopo; purtroppo, la squadra bianconera, in quegli anni, non riesce a trovare una identità definitiva e l’attesa per lo scudetto si fa sempre più lunga. «Ricordo bene il giorno che arrivai a Torino; per l’emozione non spiaccicai una parola. C’erano campioni come Roberto Baggio, mi venne istintivo dare del lei a tutti. Anzi, del voi, perché sono leccese e dalle mie parti si usa così. Pensai: “qui non duro a lungo, sono di passaggio, non posso permettermi un salto così lungo, dalla B in Puglia alla squadra più forte d’Italia».
Arriva Lippi e con lui arrivano alcune insofferenze tattiche, poiché lo impiega in più ruoli, non sempre graditi. Ciò nonostante accompagna la Juventus verso grandi successi, come la Champions League conquistata a Roma, contro l’Ajax.
Lippi gli consegna anche la fascia di capitano: «È un grande onore, oltre che una responsabilità di cui vado fiero. Me la passò Gianluca Vialli, su volere di Marcello Lippi. Questa fascia è anche simbolica, in squadra ci sono infatti più capitani!»
Ancora un grave infortunio, nel 1996: «Il secondo incidente serio, invece, mi capitò con la Nazionale, durante la partita Italia-Georgia. In quella occasione mi ruppi i legamenti del ginocchio sinistro. È stata davvero dura! Sono esperienze che segnano».
Con Ancelotti la situazione personale di Conte migliora, tanto che viene anche riscoperto dalla Nazionale. Tutto il mondo applaude questo centrocampista di spinta dotato di due polmoni che pompano aria all’infinito. «Lo dico con sincerità e onestà. Tutto ciò che ho ottenuto me lo sono guadagnato con sudore ed impegno. Non ho mai goduto di favori particolari, per questo motivo ho imparato appieno e sulla mia pelle il significato della parola sacrificio».
I tifosi gli regalano una fascia di capitano personalizzata: “Senza di te non andremo lontano, Antonio Conte è il nostro capitano” c’è scritto. «Penso che i tifosi apprezzino il mio modo di essere dentro e fuori dal campo. Con me i sono sempre stati davvero fantastici. Nei momenti più difficili mi sono stati vicini, dimostrandomi calore e simpatia».
Partecipa ai Campionati Europei del 2000, segna un bellissimo goal in rovesciata contro la Turchia, ma un’entrata “assassina” del rumeno Hagi lo costringe all’ennesimo stop per infortunio.
Come sempre, ritorna più forte che prima, contribuendo alla conquista di altri due scudetti, sotto la gestione Lippi-bis; riesce a raggiungere l’ennesima finale di Champions League, quella della beffa di Manchester, durante la quale colpisce una clamorosa traversa. «La mia carriera è stata segnata da infortuni importanti che mi hanno penalizzato, perché non sono mai il primo a togliere la gamba. Ricordo per tutti quello patito quello patito nella finale di Champions League, a Roma nel 1996, che mi costrinse ad uscire dal campo alla fine del primo tempo ma, soprattutto, mi impedì di andare in Nazionale. Quella sera, provai la soddisfazione più grande e l’amarezza più intensa. Pochi giorni dopo, i miei compagni partivano per gli Europei ed io ero in un letto d’ospedale con una coscia gonfia e dolorante».
Appende gli scarpini al chiodo al termine della stagione 2003/04, per intraprendere la carriera di allenatore, suo grande sogno; infatti, in tempi non sospetti, aveva dichiarato: «Nel dicembre 1998, qui a Torino ho conseguito il patentino di terza categoria. Sono arrivato primo su quarantadue partecipanti iscritti al corso regionale. L’altro di seconda categoria ho intenzione di prenderlo non appena avrò smesso l’attività di calciatore; vorrei vedermi sempre in un campo di calcio, con un fischietto in mano ad allenare una grande squadra. Penso di avere le caratteristiche giuste per allenare, anche se è un mestiere più difficile rispetto al calciatore. Quando giochi, devi pensare soltanto a te stesso, dopo hai la responsabilità e le prospettive cambiano totalmente».
Antonio Conte, 419 presenze, 44 goal, 5 scudetti, una Coppa Italia, 1 Coppa Campioni, 1 Coppa Uefa, 2 Supercoppe Italiane ed 1 Intertoto. «Voglio terminare la mia carriera con due sole maglie, quella della Juventus e del Lecce. Mi rendo comunque conto che sarà alquanto difficile, visto come è cambiato il calcio», aveva dichiarato.
Ritorna alla Juventus in veste di allenatore nell’estate del 2011. Vince tre campionati consecutivi e due Supercoppe italiane. Si dimette il 15 luglio 2014, al secondo giorno di ritiro.
DI STEFANO DISCRETI, DA “I NOSTRI CAMPIONI”:
Personaggio dotato di un’ironia fuori dal comune. In una testimonianza scritta rivelata al sottoscritto, mi raccontò questo episodio: «Era un periodo in cui Mister Lippi mi faceva giocare mediano sulla destra, ruolo che non gradivo troppo. Fui intervistato proprio in quei giorni ed evidentemente il giornalista fu bravo ad estrapolare questo mio leggero malumore. Sai come fanno poi i giornali. Il giorno dopo il titolo fu: “Conte: vinco ma non mi diverto”. Successivamente, al mio ingresso negli spogliatoi trovai, attaccato al mio armadietto, questo messaggio: “Se vuoi divertirti, vai all’una park”. All apostrofo una! Ti rendi conto che cosa provocò in me quella frase scritta da quell’ignorantone di Angelo? (scrivi pure ignorantone, tanto è in senso affettuoso). Ancor oggi, quando rincontro Di Livio, lo prendo in giro».