Gli eroi in bianconero: Angelo PERUZZI
La leggenda racconta che a Blera, il paese in provincia di Viterbo dov’è nato, Angelo allenava la presa ferrea delle mani cercando di afferrare i pesci nei ruscelli. La passione originaria, quasi genetica, era per la pesca. Ma la prodigiosa abilità delle mani poteva trovare sfogo anche altrove, per esempio nel ruolo solitamente meno amato dai ragazzini che giocano a pallone. Nasceva così, quasi per scherzo, il portiere Peruzzi.
La prima squadra fu quella di Blera. Il passatempo diventava in breve una cosa più seria. Angelo fu notato dagli osservatori della Roma, che convinsero papà Francesco e mamma Francesca ad affidarglielo. Non fu facile, perché l’idea che il figlio tredicenne trascorresse lunghi periodi fuori di casa era accettata con molte riserve, ma alla fine il ragazzo si trasferì nella foresteria giallorossa della Montagnola. Di qui, prendeva l’autobus per recarsi agli allenamenti a Trigoria.
I suoi maestri furono Negrisolo e Superchi. Il primo lo convinse a diventare romanista da laziale che era, altrimenti non lo avrebbe allenato. Angelo continuò a frequentare la scuola fino alla terza ragioneria ed intanto progrediva. Non ebbe quasi il tempo di farsi notare nella squadra Primavera perché a nemmeno 18 anni era già in campo a “San Siro”: 13 dicembre 1987, si giocava Milan-Roma. Alla fine del primo tempo si accasciava Tancredi, colpito da un petardo. In panchina c’era Angelo, che giocò la ripresa e fu battuto solo su rigore, calciato da Virdis. Poi il giudice sportivo assegnò il 2-0 ai giallorossi. Quella rimase l’unica esperienza stagionale di Serie A.
L’anno dopo, le soddisfazioni aumentarono. A diciannove anni appena compiuti, Angelo si ritrovò titolare del numero uno al posto di Tancredi, che era caduto in disgrazia. Dodici presenze, oltre al debutto internazionale (Roma - Norimberga di Coppa Uefa) e con l’ “Under 21” di Maldini (Turchia - Italia 2-2). Il tutto, si badi bene, senza contratto. Peruzzi divenne ufficialmente professionista solo nei primi mesi del 1989. In estate, essendo chiaro che tenerlo in panchina era un lusso per la società e poteva risultare controproducente per l’interessato, venne deciso il prestito al Verona. Lui rispose egregiamente, e fu regolarmente tra i migliori in campo pur nel contesto di un campionato finito con la retrocessione.
Il ritorno alla Roma sembrava preludere al definitivo salto di qualità ed, invece, coincise con la battuta d’arresto più amara. Dopo un Roma - Bari abbastanza insignificante, Angelo fu trovato positivo all’esame antidoping. La sostanza proibita era la fentermina contenuta nel “Lipopill”, un farmaco dimagrante. Il 13 ottobre arrivò la condanna della Commissione disciplinare, confermata poco dopo dalla Caf: un anno di squalifica, una mazzata tremenda per un ragazzo che aveva peccato solo per ingenuità. «Questa esperienza mi ha trasformato. Non sono più il compagnone di prima, faccio più fatica a fidarmi della gente».
Inutile aggiungere che sono stati mesi terribili, soprattutto i primi. «Se ho resistito, se non sono impazzito, lo devo soprattutto all’affetto dei miei familiari».
Il tempo passava lentamente, ma passava ed ha finito per portare la Juventus. «È stata la mia salvezza. Non c’è voluto molto a capire che non potevo rimanere alla Roma. La prospettiva era la panchina, perché la società puntava ancora su Cervone. E poi, diciamo la verità: a qualcuno non interessava che io rimanessi, anzi».
Nel luglio del 1991, le amarezze cominciavano ad essere archiviate. In agosto, poi, il sole bucò finalmente le nubi. Angelo ottenne una deroga per poter disputare le amichevoli e scese in campo a Padova: non stava nella pelle dalla gioia, era un piacere vederlo. La fine del tunnel era vicina, i113 ottobre veniva salutato con un brindisi, ma le date storiche sono altre. Il 12 febbraio 1992, per esempio, giorno di Juventus - Inter di Coppa Italia, prima partita da titolare.
Che la ruota della fortuna stesse cambiando direzione lo dimostra anche il rigore calciato da Matthäus sul palo. E poi il 18 aprile: in Roma - Juventus, Angelo esordiva come numero uno in campionato. Un’altra prestazione da applausi, ma la conferma che Peruzzi non aveva perso nessuna delle qualità durante la lunga sosta era venuta già qualche giorno prima, nella semifinale di Coppa contro il Milan. Angelo era stato il migliore in campo e aveva anche parato un rigore a Baresi.
Arriva l’annuncio ufficiale da parte dell’allenatore bianconero Trapattoni: «Mi dispiace per Tacconi, ma da oggi il numero uno della Juventus sarà Peruzzi», con la quale resterà otto stagioni, nelle quali colleziona 301 presenze e vince 3 scudetti, 1 Coppa Italia, 1 Champions League, 1 Coppa Uefa, 1 Coppa Intercontinentale, 1 Supercoppa Europea e 2 Supercoppe Italiane, entrando di diritto nella “Hall of fame” dei portieri bianconeri.
Nel 1999 si trasferisce all’Inter, richiamato dal vecchio allenatore della Juventus, Marcello Lippi. Le cose non vanno benissimo, l’anno dopo Angelo cambia casacca, va alla Lazio.
Portiere completo sia tra i pali che in uscita, di grandissima esperienza e di notevole forza fisica. Poderoso, compatto e con fasce muscolari larghe che gli consentono prodigiosi gesti atletici sul breve, si esalta nei tiri ravvicinati dove fa valere la propria prontezza di riflessi ed il notevole colpo di reni. Forse troppo saggio, troppo poco personaggio e, di rimbalzo, una non totale convincente capacità di guidare la difesa, ma anche la simpatia e lo scanzonato distacco con cui ha vissuto il nostro calcio isterico. Peruzzi è il padrone assoluto dell'area di rigore, è capace di stare a 15 metri dalla porta con la stessa disinvoltura con cui sta tra i pali: la sua capacità di uscire dall'area sull'avversario lanciato, permette alla squadra di giocare con grande disinvoltura, risultando perciò determinante.
Unico limite: le notevoli masse muscolari che, continuamente sollecitate, sono soggette a qualche malanno di troppo.
Con la Nazionale Peruzzi esordisce il 25 Marzo 1995, a Salerno, nella partita Italia - Lituania 4-1, con la quale, però, non raggiunge mai la consacrazione sperata, causa anche un infortunio che lo estromise alla vigilia dei mondiali del 1998 in cui partiva come titolare; l’unica competizione importante è l’Europeo del 1996 che termina in malo modo per l’Italia, prima del trionfo Mondiale del 2006, che Angelo sente “suo”, nonostante non scenda mai in campo.