LE VOCI SU GIOVINCO E LA JUVENTUS DI CONTE

12.06.2011 21:15 di  Thomas Bertacchini   vedi letture
LE VOCI SU GIOVINCO E LA JUVENTUS DI CONTE
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© foto di Francesco Cherchi

Dire che di Sebastian Giovinco i tifosi bianconeri si erano quasi dimenticati è una bugia bella e buona: grazie alle tre reti segnate alla Juventus indossando la maglia del Parma nelle due gare disputate contro di lei nel campionato appena concluso, il piccolo centrocampista ha indubbiamente trovato il modo peggiore (o migliore, a seconda dei casi) per farsi ricordare dai suoi vecchi sostenitori.

Ora che ha tinto la propria carriera con l’azzurro della nazionale maggiore, quella dei grandi allenata da Cesare Prandelli, dopo aver fatto la trafila di tutte le minori (partendo dall’under 16 sino ad arrivare a quella Olimpica), le porte del calcio che conta si sono aperte definitivamente anche per lui.

Milanista di nascita (seguendo le direttive della famiglia) e juventino d’adozione, è cresciuto con la Vecchia Signora nella testa e nel cuore con la speranza di recitare un ruolo importante al suo rientro nella casa madre avvenuto nell’estate del 2008, dopo essere stato parcheggiato da Madama a Empoli per una stagione.

Rischiò di finire subito nel pacchetto che portò Amauri sotto la Mole, mentre l’anno prima era entrato a far parte dell’operazione che consentì l’acquisto di Almiron da parte della Juventus. Del centravanti italo-brasiliano è stato compagno di squadra sia a Torino che con i ducali, e - secondo una voce rimbalzata negli ultimi giorni - tra le tante (infinite) ipotesi del mercato estivo stavolta sembrerebbe toccare proprio a quest’ultimo il compito di recitare il ruolo di pedina nello scambio che riporterebbe Giovinco in bianconero.

Sia che si tratti di una semplice bufala oppure di un importante indizio utile a capire una volta per tutte le (reali) intenzioni della Juventus su di lui, resta la notizia che Sebastian è finito nella tribù dei "piccoli" (d’altezza) che potrebbero movimentare voci e trattative nell’estate del pallone che verrà: dai più celebrati (Tevez, Sanchez, Aguero, Sneijder) alle promesse ormai consacrate sulla rampa di lancio (Hazard, Giuseppe Rossi), tanto per fare qualche nome tra quelli che quotidianamente si possono trovare sulle prime pagine di quasi tutti i giornali.

Terminata l’epoca del calcio muscolare negli ultimi anni ha preso il suo posto quella dei brevilinei, dei bassi di statura, tipici di un Barcellona plurivittorioso dal gioco spettacolare espresso sul campo da un gruppo di titolari dall’altezza media di 177 centimetri spalmata in tutti i reparti, compresa la linea mediana dove regnano Xavi e Iniesta (due "giganti", col pallone tra i piedi) e l’attacco composto dai vari Villa, Pedro e Messi, "pulce" di (sopran)nome ma non di fatto.

Le luci della ribalta sono sempre per i più bravi, un po’ come accade a scuola quando chi studia e si applica prende i voti migliori mentre a chi copia di nascosto dallo sguardo dell’insegnante non rimane che la speranza di ottenere il massimo dei risultati con il minimo sforzo.

Pensare che il solo fatto di riprodurre nel proprio club un duplicato di schemi e sistemi funzionanti in un altro possa portare gli stessi frutti è il modo migliore per avvicinarsi ad un fallimento prima ancora di avere iniziato a partecipare a qualsiasi competizione.

In questo senso Josep Guardiola, allenatore tanto umile quanto bravo, negli istanti successivi alla fresca vittoria in Champions League dei catalani sul Manchester United fu esplicito: "Oggi tutto il mondo ha visto che abbiamo vinto giocando bene. Se posso replicarlo in un’altra squadra? Non credo. Se arriva un altro presidente con un sacco di milioni di euro capace di comprarmi il 90% di questi giocatori, forse sì. Ma non credo".

Sia Arrigo Sacchi che Fabio Capello sedettero sulla panchina del Milan in due momenti diversi: nel primo scrissero alcune tra le pagine più belle della storia dei rossoneri, nell’altro collezionarono rispettivamente un undicesimo ed un decimo posto in campionato (dal 1996 al 1998). La società e gli allenatori rimasero gli stessi, furono i giocatori ad essere cambiati: per età, logorio fisico e qualità (dei nuovi) minore rispetto a quella del passato.

La differenza è nella tecnica: le squadre migliori, se ben gestite, a lungo andare non possono che ottenere i risultati sperati.
Difficilmente nella lunga storia della Juventus le vittorie non sono arrivate grazie alle gesta di campioni straordinari rimasti nei ricordi dei tifosi: in questo senso Madama non ha nulla da invidiare (o copiare) a nessun club del mondo.
E’ quello il modello da riprodurre: tornare ad essere se stessi.

Nella Vecchia Signora che verrà, quella guidata da Conte, ci potrà pur essere spazio per gli "attributi", il "sudore", il gioco offensivo e la fantasia, ma quello che non dovrà mai mancare sarà la classe.
Andrea Pirlo in questo senso rappresenta un gustoso antipasto, ma non basta. C’è ancora un’estate intera davanti per portare a Torino altri grandi giocatori: alti o bassi che siano, poco importa. Dovranno semplicemente essere forti. Adesso non ci sono più scuse.