MAROTTA, NON CI PARLI DELLE INDICAZIONI POSITIVE...
Ad essere sinceri non si può non dire che i segnali per un’altra serata negativa per la Vecchia Signora non ci fossero tutti. Un esempio preso a caso? Gli ultras del Cesena che, prima dell’incontro del "Dino Manuzzi", hanno esposto uno striscione beneaugurante durante l’ultimo allenamento dei padroni di casa con la scritta: "La strada è quella giusta: asfaltiamoli". Ecco il segno dei tempi andati: una volta la preghiere erano rivolte a chi fosse in grado di fermare quelle furie bianconere di Torino perché non impallinassero la provinciale di turno; adesso c’è la forte convinzione in loro di riuscire non soltanto a batterle, ma di stravincere. E se Giaccherini non avesse graziato un grande Buffon (oltre a quanto farà poi "l’ottimo" Bergonzi) sbagliando un goal ormai fatto, la partita avrebbe potuto prendere una piega diversa, magari in una direzione non troppo lontana da quella indicata nel messaggio scritto dai sostenitori romagnoli.
Per dirla alla Del Neri, la gara di ieri sera doveva essere la prima delle "dieci finali da non fallire, per sperare nel traguardo oggi massimo, per chiudere con dignità". D’altronde, sempre per sua ammissione, il "gruppo ha reagito bene in settimana, l’ho visto peggio dopo la sconfitta di Lecce". Questa è la teoria del "bicchiere mezzo pieno", di quel refrain che da inizio anno calcistico viene ripetuto alla conclusione di ogni incontro di Madama. Chiedere di portare pazienza ad un tifoso juventino dopo tutto quello che ha dovuto patire dal 2006 ad oggi è un compito arduo; viceversa, per chi è costretto a dover sentir parlare in continuazione di "progetti", "rivoluzioni", "evoluzioni", "transizioni" e poi scoprire amaramente che nella Torino bianconera sono tutti sinonimi della parola "fallimento", adesso la misura è davvero colma.
C’è modo e modo di vincere, di perdere, ma anche di affrontare le gare ed analizzarle nei momenti immediatamente successivi. Non si può limitare il resoconto di una partita negativa restringendolo al concetto "in campo ci sono anche gli avversari": è sconfiggendo tutti quelli che ha trovato sulla strada nel corso della propria storia ultracentenaria che la Juventus ha costruito negli anni la sua leggenda.
In un contesto diverso, in un campionato vissuto e combattuto nelle zone più nobili della classifica, un pareggio come quello ottenuto al "Dino Manuzzi" ci poteva anche stare. Ma non ora, in una situazione così disastrosa, con una squadra reduce da tre sconfitte consecutive che non segnava reti da più di 330 minuti prima dell’incontro col Cesena, capace di peggiorare il disastro combinato nel campionato passato (ad oggi ha accumulato tre punti in meno a parità di incontri disputati) e ormai lanciata verso tutti i record negativi accumulati nella stagione 1961-62, allorquando la Vecchia Signora riuscì a perdere tutte le ultime sette gare della stagione.
Una Juventus costruita attraverso una programmazione estiva "incompleta", nella quale sono state gettate le basi per la creazione di uno "zoccolo duro", rileggendo i concetti ribaditi recentemente da Giuseppe Marotta, suo amministratore delegato. Lo spirito da imitare, nel percorso di un campionato che si sapeva sarebbe stato difficile, era quello della Juventus "trapattoniana" degli anni settanta, una formazione "made in Italy" capace di vincere sia nel nostro paese che in Europa. Gente che non mollava mai, che univa la classe alla grinta.
Se venisse posta la domanda a qualche campione di quella squadra sulle difficoltà che può incontrare un giocatore bianconero in preda ad un "blocco psicologico", probabilmente risponderebbero soltanto per un mero fatto di educazione.
I vari Furino, Benetti e Tardelli sul campo non avevano il tempo di pensare a queste cose.
"La Champions League? Vediamo cosa succede. Ci sono ancora trenta punti in palio e una serie di scontri diretti sparsi qua e là". Così Del Neri nella conferenza stampa dell’immediata vigilia dell’incontro pareggiato a Cesena. E’ lecito domandarsi se la risposta fosse connessa realmente a quella domanda oppure a quali "scontri diretti" si riferisse il tecnico di Aquileia.
Anche perché è fin troppo facile stilare un resoconto del comportamento della sua formazione in questo 2011: ha perso sette partite sulle undici disputate prima di Cesena (vincendone soltanto tre); nel periodo considerato è stata umiliata da Parma, Bologna, Udinese, Napoli e Lecce; si è potuta aggrappare all’arbitraggio di Morganti per giustificare la disfatta col Palermo al "Renzo Barbera" (a conti fatti immeritata); ha perso un incontro casalingo contro un Milan non certo irresistibile grazie ad una "ciofeca" di Gattuso (che non segnava da tre anni), "accompagnata" in porta da Buffon, senza che l’altro portiere in campo (Abbiati) avesse dovuto compiere un intervento solo in 90 minuti di gioco.
"Di solito parlo dopo le sconfitte, ma questo pareggio ci lascia indicazioni positive". Con queste parole è intervenuto Marotta al termine della gara di ieri sera.
Il pareggio ottenuto al "Dino Manuzzi", per i motivi sopracitati e per l’andamento della partita (la Juventus si trovava in vantaggio di due reti), in realtà equivale ad una sconfitta. Quindi, i motivi del suo intervento sono più che giustificabili, se quella è la linea scelta dalla società.
Per ciò che concerne le "indicazioni positive", la speranza è che non vengano mai rese note ai sostenitori juventini.
Sarebbe davvero troppo…