UNO STADIO PIENO PER UNO SPETTACOLO VERO
La sosta del campionato di serie A, dovuta agli impegni della nazionale, è ormai conclusa.
"Il potere logora chi non ce l'ha". E il calcio fa altrettanto con chi non ha la passione per questo meraviglioso sport. La pausa era inevitabile per chi doveva giocare, ma ha finito col diventare un "peso" per chi tifa.
Quello che sta per avere inizio sarà il primo week end pallonaro dopo gli episodi di Genova, dove il serbo Ivan Bogdanov, "l'uomo nero" diventato di colpo più famoso di Stankovic e Krasic, si è preso le luci della ribalta, impedendo - di fatto, con l'aiuto dei suoi prodi al seguito - lo svolgimento della partita.
E così, mentre i bambini uscivano dal "Luigi Ferraris" accompagnati da quei genitori che avevano l’arduo compito di spiegare loro cosa stava accadendo, lui proseguiva imperterrito a mostrare le tre dita (alternate dal "dito medio") nell'intento di continuare la sua guerra personale contro la federazione serba, il portiere Stojkovic e tutto quanto gli potesse permettere di portare avanti le proprie "azioni di disturbo".
Non è italiano, non ce l’aveva col nostro calcio, ma (non a caso) ha scelto uno dei nostri stadi per mostrarsi al mondo intero.
Gli episodi dello scorso martedì rappresentano la punta dell’iceberg di un’escalation di avvenimenti che con il football non hanno nulla a che vedere, ma che trovano la loro collocazione ideale proprio in quegli spazi in cui dovrebbero svolgersi delle manifestazioni sportive, e che invece finiscono - spesso e (mal)volentieri - col passare in secondo piano rispetto ad atti di vandalismo allo stato puro.
Senza fare particolare sforzi di memoria per ricordare quando la violenza è entrata a piedi uniti negli stadi italiani, si può riavvolgere il nastro sino al prologo di questa stagione, ripartendo dalle amichevoli sotto l’ombrellone: dagli scontri tra gli ultras di Pisa e Viterbese, a quelli di Spal e Parma, alla decisione di non disputare l’amichevole tra Padova e Fiorentina per evitare incidenti, alle lotte in campo ("calci" più che "calcio") tra Brescia-Larissa, Cagliari-Bastia e Catania-Iraklis.
Si vuole citare ancora qualche esempio? Bene, basta mettere dentro il calderone le proteste per la tessera del tifoso, l’agguato al Ministro dell’Interno Maroni (25 agosto) con petardi e fumogeni che fortunatamente hanno finito col bruciare auto e motociclette, non toccando il tendone che ospitava una festa di partito con migliaia di persone. Tra le quali molti bambini, ovviamente.
E quando il calcio da "parlato" diventa "giocato", e dalle spiagge si passa al campo? Ecco Inter-Roma, finale di Supercoppa Italiana (21 agosto), con Totti che chiede ai suoi tifosi di smetterla di lanciare fumogeni per permettere la ripresa del gioco (dopo una sospensione della durata di cinque minuti). Il tutto mentre - negli altri settori dell’impianto - alle persone veniva impedito di tenere il tappo delle bottiglie di plastica per il timore che potessero tirarle in campo.
Si potrebbe andare avanti, o - peggio ancora - indietro. Il materiale non manca.
E poi ci si chiede perché Ivan Bogdanov e gli altri serbi abbiano scelto di venire (anche) in Italia a fare quello che volevano.
Dall’insieme di insegnamenti che si possono imparare (e importare) dall’estero, spesso e volentieri vengono lasciati a casa loro quelli che realmente potrebbero aiutare a migliorare il calcio nostrano, concentrandosi - invece - sui metodi più efficaci per attirare i soldi degli appassionati. Per quanto riguarda il resto, ogni cosa a suo tempo.
Una volta la domenica calcistica, per il tifoso, era sacra. Nel pomeriggio le voci di Enrico Ameri e dei suoi colleghi entravano in ogni angolo della penisola. La mancanza delle immagini veniva compensata dalle descrizioni (condite da metafore "ad hoc") di Sandro Ciotti e di altri commentatori che avevano la capacità (il potere) di descrivere una partita come se si fosse trattato di un breve romanzo. Nelle trasmissioni televisive dedicate all’argomento, tranne qualche eccezione, si parlava, non si urlava. Le considerazioni conclusive spettavano a giornalisti con la "G" maiuscola.
Adesso si gioca all’ora di cena, dell’aperitivo e pure del pranzo. Il sabato come la domenica, o il lunedì, per chi ha già troppi impegni in calendario. Il tifoso deve rimanere incollato ad un televisore, procurarsi un abbonamento con un’emittente che gli consenta la visione delle gare, dotarsi di una tessera, aggiornarne il software e telefonare - spendendo, ovviamente - quando non è più in grado di capire cosa deve fare per vedere una (benedetta) partita.
Gli stadi? Svuotati, insicuri, costosi (per tutti), vecchi e con campi di gioco che favoriscono gli infortuni più che le giocate di qualche campione. E lasciati sempre più nelle mani dei vari "Ivan" di turno.
Da lì bisogna ripartire per riavvicinare i veri sostenitori al prato verde, ripopolando gli spalti anche - e soprattutto - con la presenza dei più giovani. Quelli che sono e saranno sempre il futuro, nello sport così come nella vita.
La Juventus, attraverso la costruzione dell’impianto che sta nascendo dalle ceneri del vecchio “Delle Alpi”, sarà la prima in Italia (e non è un caso, visto da chi era partito il progetto) a dotarsi di una struttura adatta a questo fine.
Che poi andrà "gestita", naturalmente. Perché ora si parla con dovizia di particolari della sua realizzazione, ma non basterà soltanto quella a scindere i buoni dai cattivi, i sostenitori dai violenti, gli appassionati dai facinorosi.
Se la società bianconera riuscirà a dimostrarsi capace di vincere anche questa partita, allora - forse - inizieranno ad accodarsi pure gli altri club.
Nella speranza di non vedere più "uomini neri" dentro uno stadio, ma genitori che possano dire ai loro figli: "ecco perché mi sono innamorato del calcio. Questo è il motivo per il quale non riesco a stare due settimane senza di lui…".