LA NUOVA JUVENTUS IN UN PAESE "VECCHIO"
"Il nostro stadio futuro sarà per le famiglie e avrà uno spazio ove ricordare il dramma dell’Heysel".
Al termine del ricordo di Andrea Agnelli di quello che è stato il "suo" 29 maggio 1985, nel contesto della cerimonia commemorativa del venticinquesimo anniversario della tragica serata di Bruxelles, finalmente arriva la notizia che il popolo bianconero attendeva da tempo: la promessa di uno spazio per celebrare i 39 angeli bianconeri "sempre". E non solo i fine maggio di ogni anno.
Un discorso da Presidente vero. Un ricordo da "vero" juventino.
D. "Cosa pensi dei tuoi aggressori?"
R. "Niente, che devo pensare?"
D. "Potevano ucciderti?"
R. "Allora? Dovrei dire che sono infami, pezzi di ….? No, allo stadio le coltellate si prendono e si portano a casa?"
Chi risponde a queste domande è Maximiliano Ioele, il ragazzo di 22 anni (romano e romanista) accoltellato nel corso dell’ultimo derby capitolino (18 aprile). L’intervista (qui l’estrapolazione di una sua piccolissima parte) è stata rilasciata ai taccuini dell’inviato della "Gazzetta dello Sport" Alessandro Catapano qualche giorno dopo. Il contenuto, si commenta da solo.
L’Italia ha appena perso l’occasione di organizzare gli Europei di calcio del 2016: per carità, niente di strano. Se ne occuperà la Francia: a noi il compito di vincerlo sul campo. In pochi ci credevano, a differenza di quanto accadde il 18 aprile del 2007, quando Polonia e Ucraina ci soffiarono i prossimi del 2012. Nonostante le incrollabili certezze dell’allora presidente della Lega Calcio Antonio Matarrese, che non vedeva alcun pericolo provenire dalla candidatura delle due nazioni risultate poi vincitrici. Lo stesso che otto mesi dopo, nel gennaio del 2008, vedeva nella debolezza delle loro strutture (e nella mancanza di fondi) la possibilità di inserire qualche stadio italiano in un contesto di accordi con altri paesi europei, che avrebbe permesso di spalmare partite (e soldi) in più località. Giusto per coprire, con un fazzoletto, un buco troppo grande. Chiamato sconfitta.
Il calcio italiano negli ultimi anni ha perso credibilità, soldi, non è in grado di creare luoghi confortevoli per seguire questo sport perché si perde dietro le promesse, rimane invischiato nelle carte della burocrazia e nel dover mettere "tutti d’accordo". O, più semplicemente, nel dover "accontentare" tutti. La violenza regna sovrana: fuori e dentro le strutture che dovrebbero ospitare semplici partite di calcio. E, che finiscono, in alcuni casi, col generare atti di teppismo difficilmente controllabili. Un paese "vecchio", con il soliti difetti. Che poi sono quelli della nazione nel suo insieme generale.
L’unica società che ha fatto qualcosa di diverso, di innovativo, negli ultimi tempi, è stata proprio la Juventus. Nel 2011 sarà pronto il nuovo stadio, quello a cui faceva riferimento il neoPresidente Andrea Agnelli. Nonostante le foto comparse in diversi periodi con indosso l’elmetto da capo cantiere, il merito non andrà certo attribuito a Jean Claude Blanc (o alla - ormai - precedente gestione della Vecchia Signora.) Era stata la Triade, nel lontano 2002, a presentare quei progetti. Così come ammesso anche da Pier Francesco Caliari (ex direttore comunicazione della Juventus dal 2002 al 2003) ai microfoni di "Tuttojuve.com" qualche giorno fa. Fu Antonio Giraudo, nello specifico. Maggiori entrate, uno spazio più accogliente e sicuro per chi vorrà seguire - a Torino - la propria squadra del cuore, così come ora vede fare solo ai tifosi delle squadre straniere nei loro paesi. Questo dovrebbe portare, ovviamente, ad un confronto con chi - quando non riesce attraverso il dialogo a fare sentire la propria voce - fa uso di bombe carta. Perché Roma, ovviamente, non è l’unica città dove si verificano fatti incresciosi.
Si vinceva, all’epoca, in casa bianconera. Ma non si smetteva di programmare. Si beveva dal calice della vittoria, ma già si pensava ad inseguire futuri successi. Quando si vendeva un pezzo pregiato, l’idea era quello di sostituirlo con (almeno) uno di pari valore. Mattoncino dopo mattoncino, venne fuori la Juventus del 2006. Quella della finale mondiale Francia-Italia, per intenderci. Poche parole, misurate, e molti fatti. Concreti.
Si riparte, ora, dopo un buco di quattro anni. Nel quale la squadra è stata depotenziata, e va ricostruita: alla fine del calciomercato estivo si tireranno le somme dei giocatori in "entrata" e in "uscita", giusto per capire "cosa" si è riusciti a fare in un contesto dove, per ripresentare una squadra competitiva, c’è "tanto" da ricostruire. Se poi lo diverrà veramente, spetterà al campo dirlo.
Vittorie e programmazione. Oggi, facendo di necessità virtù, "programmazione per vincere". Il più alla svelta possibile.
Dalle ricerca dei giocatori di fascia a quel regista che da anni viene invocato da più parti; dal centrale difensivo da affiancare a Chiellini all’attacco da reinventare. Molte voci, per fortuna non alimentate - come è accaduto spesso nel recente passato - da chi poi dovrà sedersi al tavolo delle trattative.
Silenzio. E lavoro. Solo così si costruiscono i fatti. Non le promesse.