Ferrara, Zaccheroni e il dolce sapore della vittoria
Uno sguardo di Capello, l’ultimo grande allenatore seduto sulla panchina della Juventus. Il via libera per riscaldarsi, ed entrare in campo. Un boato del pubblico. La cinquecentesima partita giocata in serie A iniziata al 42’ minuto del secondo tempo, al posto di Pavel Nedved. Era il 15 maggio 2005, l’incontro giocato al Delle Alpi contro il Parma si trasformò ben presto in una passerella, quella che avrebbe portato la Juventus - dopo pochi giorni - alla conquista del suo 28° tricolore. Ciro Ferrara ebbe modo di salutare il pubblico bianconero in questo modo, ricevendo la giusta standig ovation dai tifosi presenti allo stadio. 8 scudetti vinti da giocatore, di cui 6 in bianconero. Una galleria di trofei da far impallidire il più polemico dei Mourinho. Tibia e perone rotti a Lecce, quando - ancora provato dal dolore - negli spogliatoi urlò la sua gioia alla notizia del goal di Iuliano, suo naturale sostituto nella gara e nel prosieguo della stagione.
Quella era una Vecchia bellissima Signora, che ti ammaliava con lo sguardo, e che quando ti sceglieva non ti abbandonava mai: ti proteggeva, ti metteva in condizione di giocarti le sfide più difficili contro il mondo intero, sapendo di averla sempre lì, al tuo fianco. Ferrara lo avrebbe dovuto capire: questa, quella di oggi, è diversa. Ha perso molto, (quasi) tutto. Va ricostruita, (quasi) da zero. Ma non solo in campo: partendo dall’alto, e - a cascata - verso il basso.
Ora ti seduce, ma ti lascia solo in un batter d’occhio. E’ pronta ad abbandonarti nelle difficoltà, per la paura che tu la possa tirare in ballo nel gioco delle colpe da dividersi. Chiede a te di andartene, di prenderti delle responsabilità, ma è la prima a non farlo. Una volta era fatta di uomini dall’animo d’acciaio: ora, d’acciaio, è rimasto soltanto il colore della maglia di riserva.
Alla seconda partita negativa, scoppiava il finimondo. Adesso si finisce per affidarsi (anche) ai miracoli, sapendo che nel calcio - come nella vita - capitano di rado.
Ferrara non era pronto per allenare la Juventus. Il tempo dirà se sarà in grado di essere un buon allenatore. Nel rispetto dello stile-Blanc è stato esonerato a campionato in corso, poichè non faceva più parte del progetto bianconero. Strano, considerando che l’obiettivo sembra essere quello del ridimensionamento della società e che, purtroppo, i risultati - in tal senso - davano ragione all’ormai ex-allenatore.
Dagli applausi dei suoi tifosi al Delle Alpi cinque anni fa, agli striscioni ironici dei tifosi interisti dopo l’ennesima sconfitta, stavolta in Coppa Italia: la strada è stata tutta in discesa, così come quella percorsa dalla Juventus.
Alberto Zaccheroni da Cesenatico torna a Torino, nella sponda più prestigiosa, dopo aver conosciuto Cairo, l’uomo che ancora non è stato in grado di capire perché il goal di Trezeguet giocato nel derby del 30 settembre 2007 era regolare e non in fuorigioco. Arriva con l’etichetta dell’uomo del "5 maggio 2002", quando - battendo l’Inter alla guida della Lazio - regalò indirettamente alla sua nuova squadra un match point che a Udine non si lasciò sfuggire.
Arriva col vantaggio di non far parte di alcun progetto, di trovarsi nella situazione di dover "salvare il salvabile". Da traghettatore a salvatore: il passo è breve, compierlo sarà difficile. Dovrà lavorare sulle teste dei giocatori, stimolarli prima ancora che impartire loro lezioni di tattica. Avrà dalla sua parte un popolo di sostenitori che non aspetta altro che un misero successo in campionato, per poter riassaporare quel piacere di sconfiggere l’avversario che una volta, sotto la Mole, era di casa.
Quando la Vecchia Signora ti corteggiava, ti strizzava l’occhio, e ti sceglieva. Per non abbandonarti più. Per gustare insieme il dolce sapore della vittoria.