Quando il razzismo non c'è
Va bene, magari la partita ha offerto pochi spunti di analisi, visto il gioco deludente e le rarissime palle gol create da entrambe le squadre. Ci possono stare anche le discussioni sul rigore: se ancora qualcuno crede che il tocco di braccio di Isla all'andata fosse netto, si fa prima a rimanere delle proprie opinioni, tanto si parlano due lingue diverse. Ma quando, ancora, per l'ennesima volta, si parla di razzismo da condannare, di cori beceri, di diffide e di squalifica del campo, forse viene automatico chiedersi perché certa stampa concentri le proprie attenzioni su episodi quantomeno dubbi. La stessa stampa che chiede fair play, che chiede di non rovinare il calcio con polemiche e gesti da condannare. Perché non informare correttamente e dire che questi cori erano sfottó verso gli avversari, a cui ovviamente - come è normale che sia - hanno ribattuto i rossoneri nel settore ospiti? Perché non chiedere ai presenti - di entrambe le tifoserie - se fossero davvero "ululati razzisti" da condannare (come già fatto in precedenza dalla società Juventus e dagli stesso tifosi)? Perché non dire che gli insulti a Boateng erano esattamente gli stessi rivolti a tutti gli altri giocatori in campo, da parte di entrambe le tifoserie? E poi, perché non fanno notizia gli ululati (quelli veri) in altri stadi?
Quanto alla coreografia apparsa in Curva Sud a inizio ripresa, non si capisce dove sia il razzismo in una caricatura che, per carità, può non piacere, ma che non ha nulla a che vedere con la discriminazione razziale. Una scelta ironica, non condivisibile ma nemmeno condannabile o punibile con uno o più turni a porte chiuse.
Sarebbe opportuno evitare di campare in aria accuse senza averne prove certe, in un momento particolare della stagione. Si chiede rispetto per chi, in quello stadio, da mesi, anni, si sente etichettato come razzista senza possibilità di replica. In passato, più volte, la stragrande maggioranza dei bianconeri ha condannato qualsiasi manifestazione razzista; ed è il momento di farla finita con supposizioni o fantasie in cui il pubblico juventino non si riconosce ma non può far altro che sentire ogni volta.